Che il cemento ti sia lieve
Con Evergrande finisce un'epoca. Quella del sogno di una classe media comunista
“Forse neanche un miliardo e quattrocento milioni di persone sono sufficienti a riempire tutte queste case sfitte”. Siamo all’apice di una crisi immobiliare che sta per coinvolgere banche, amministrazioni pubbliche e finanza. L’ex vicedirettore dell’ufficio nazionale di statistica He Keng, ormai ottantunenne, si sfoga pubblicamente: “Ma quante sono? Gli esperti danno numeri differenti e, nella stima più alta, gli appartamenti vuoti sarebbero abbastanza per ospitare tre miliardi di individui”. Dalla fine del 2021, quando si è scoperto che il colosso immobiliare Evergrande non era in grado di ripagare i suoi debiti, raccapezzarsi tra i dati degli immobili invenduti e quelli mai finiti di costruire è praticamente impossibile. Tutto il settore, che secondo Bank of America contribuisce al 28 per cento del pil della seconda economia mondiale, sta scricchiolando. E con esso le fondamenta della Repubblica popolare, almeno quella che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni.
Da quando ho iniziato a frequentarla, la Cina è sempre stata un cantiere a cielo aperto: caschetti gialli e impalcature ovunque, fiamme ossidriche e mezzi meccanici operativi 24 ore al giorno. Nel 2001 le macchine prendevano il posto delle biciclette: bisognava allargare le strade e crearne di nuove. Era l’anno in cui la Repubblica popolare entrava nel Wto e si aggiudicava le olimpiadi. Sarebbero state nel 2008, anno in cui si sono inaugurati anche i primi cento chilometri di alta velocità, la Pechino-Tianjin. Oggi lo stesso servizio passeggeri serve una rete ferroviaria di 42mila chilometri che è insieme la più estesa e utilizzata al mondo. Ma non è questo il punto. Nel frattempo la fame di crescita e progresso si è spostata dalle infrastrutture agli immobili e dal pubblico al privato, e il mercato è esploso. Si costruivano interi quartieri attorno ai nuovi centri commerciali e vere e proprie newtown attorno alle nuove stazioni ferroviarie. Si scommetteva sul flusso costante di persone che abbandonava villaggi e campagne in cerca di una vita migliore. Si scommetteva sull’urbanizzazione, e sulla crescita numerica della classe media.
All’inizio degli anni Dieci di questo secolo, quando Xi Jinping riceveva il suo primo mandato e l’economia ancora non aveva ancora bruscamente rallentato, la classe dirigente cinese voleva più consumatori e meno contadini, più terziario e meno produzione. Nel 2010 la Repubblica popolare era diventata la seconda economia mondiale superando il Giappone; e nel 2011 la sua popolazione urbana aveva per la prima volta superato quella rurale. Servivano case dignitose e servizi in ogni angolo del paese, solo così si poteva aspirare ad attirare i colletti bianchi anche nelle città di provincia. Sono gli anni in cui la Cina, in un solo biennio, ha prodotto più cemento di quanto abbiano fatto gli Stati Uniti in tutto il Ventesimo secolo. E questa tendenza non si è mai invertita. A fine 2022 contava 914 milioni di residenti urbani, contro una popolazione rurale di 498 milioni. E ancora all’inizio del 2023 il consiglio di stato ribadiva che l’urbanizzazione era il motore principale della crescita economica.
Per le terre lontane dai centri nevralgici della nazione, infatti, costruire palazzi significa soprattutto poter muovere denaro e occupazione. E le amministrazioni locali, non si sono lasciate sfuggire l'occasione. Hanno fatto cassa vendendo terreni agli sviluppatori immobiliari confidando che appalti e indotto avrebbero permesso alle economie provinciali e regionali di raggiungere gli obiettivi di crescita stabiliti dalla lontana Pechino. E per un po’ ha funzionato. Dal 1996 al 2013 centocinquanta milioni di acri di terra, ovvero l'otto per cento dei terreni coltivabili, sono stati inghiottiti dalle città. Ma anche quando il governo centrale ha cercato di frenare le speculazioni vincolando la quantità di terreni destinati all’uso agricolo, amministrazioni e sviluppatori non si sono fermati. Si è cominciato a concentrare i cittadini in verticale e a costruire complessi residenziali di lusso per aumentare il valore dei lotti di terra originari. Così gli appartamenti in costruzione aumentavano esponenzialmente, anche in aree dove la domanda era pressoché inesistente.
I risultati sono evidenti nelle innumerevoli “città fantasma” che costellano le sterminate pianure cinesi. Si tratta di conglomerati urbani di recente costruzione rimasti in gran parte disabitati. Costruzioni tirate su in fretta, spesso con materiali scadenti, che non hanno alcuna possibilità di durare nel tempo. Soprattutto se inutilizzate. Così i costi degli immobili, spesso messi sul mercato prima ancora di essere costruiti, crollavano e chi ci aveva investito si ritrovava indebitato. Il sogno di una casa di proprietà si era trasformato in incubo. E con esso il piano della leadership: se le città rimangono deserte, infatti, i consumi non crescono e il terziario non decolla. La parabola di Evergrande racconta pressappoco questa storia. Per più di vent’anni è stata la più grande società immobiliare della Cina e ha fatto soldi grazie a un boom edilizio mai visto prima su scala mondiale. Più l’edilizia cresceva, più l’azienda si espandeva in altri settori: acqua in bottiglia, sport professionali e veicoli elettrici. Banche e investitori la finanziavano volentieri, scommettendo sulla fame di case di proprietà di una classe media sempre più numerosa. Ma oggi, quella che era la società immobiliare più redditizia della Cina, è sull’orlo del fallimento.
Con un debito di 330 miliardi di dollari, Evergrande è diventato il simbolo di una crisi economica di cui si fatica a tracciare i contorni. A fine settembre la sua filiale principale è entrata tecnicamente in default, ma l’azienda ha ancora quasi ottocento cantieri aperti in oltre duecento città cinesi. Deve denaro a banche, fornitori e investitori stranieri e deve appartamenti non ancora completati ai cittadini che li avevano comprati in anticipo. I suoi dirigenti sono stati arrestati e probabilmente verrà nazionalizzata, ma è evidente che i problemi non sono finiti qui. Rivisitando gli slogan in auge durante la rivoluzione culturale con il suo pensiero sul socialismo con caratteristiche cinesi, Xi Jinping invita i giovani a “ringiovanire le campagne”. E le amministrazioni lo prendono in parola. La ricca regione del Guangdong già prevede di mandare trecentomila studenti nelle aree rurali entro il 2025. Ed ecco qui la fine della classe media: contrordine compagni, si torna alla vita agra.