“Un Paese, due sistemi”, avevano promesso Margaret Thatcher e Deng Xiaoping all’inizio degli anni Ottanta. Fino al 2047 ad Hong Kong si dovevano garantire libertà di espressione e giusti processi, un sistema pluripartitico ed elezioni a suffragio universale. Ma non è andata così.
Piano piano tutti i diritti sono stati erosi e la legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino il 30 giugno 2020 ha cancellato a forza di arresti (qui le statistiche ufficiali: la percentuale di giovani sotto i vent’anni è inquietante) un movimento che era riuscito a portare in piazza un terzo della popolazione.
Chi ha difeso l'autonomia della città che per decenni è stata ponte tra Occidente e Repubblica popolare è all’estero o in galera. Ed è incredibile realizzare che, per cancellare completamente lo stato di diritto, è bastata una manciata d’anni.
La storia di Hong Kong dovrebbe essere monito per tutti noi che diamo i nostri diritti e le nostre forme di governo per garantiti. Oggi l’ambiente culturale di quella che era una delle città intellettualmente più vive dell’Asia orientale, è identico a quello di una metropoli qualunque della Cina continentale.
Per questo come contributo a chiusura del 2023 riproponiamo un reportage del magazine con sede a Singapore The Initium (tradotto per Internazionale) che mostra come l’autocensura è ormai diventata la norma anche ad Hong Kong.
Buona lettura e buone feste!
K. lavora nella redazione di una rivista di moda di Hong Kong. Per lei è normale cambiare velocemente idea su soggetti e intervistati da mettere in pagina. Negli ultimi anni però la situazione è più noiosa e stancante. “Negli ultimi anni” significa dopo i movimenti del 2019, la legge del 2020, la pandemia e tutti gli altri grandi cambiamenti che Hong Kong ha attraversato. Anche se K. non si è mai occupata di attualità, politica o giustizia il nuovo clima influisce pesantemente anche sul suo settore.
In passato la scelta delle celebrità da intervistare dipendeva dalle tendenze culturali, dalle preferenze editoriali, dalle inserzioni pubblicitarie e dalla forza della loro unicità, ma oggi bisogna attenersi a tutt’altri criteri. Gli intervistati da che parte stanno? Sono gialli (a favore del movimento per la democrazia) o blu (dalla parte della polizia che ha represso il movimento)? Per mettere un personaggio in copertina bisogna prendere in considerazione anche la sua posizione politica? Cosa bisogna evitare di scrivere? Queste domande sono gradualmente diventate un’ulteriore forma di pressione editoriale. E non solo nella quotidianità di K.
A tre anni dall’entrata in vigore della legge nazionale sulla sicurezza, l’intera industria dei media è stata profondamente modificata dall’introduzione di nuove, invalicabili, linee rosse. Certo quella dell’informazione culturale è una trasformazione più leggera rispetto a quella che ha investito le notizie di attualità e società, ma con il nuovo ordinamento, ci sono veramente argomenti che possono essere considerati salvi?
Se trattiamo di cantanti, recensioni di cibi e bevande, letture… possiamo veramente essere certi di non incorrere nella censura?