Contro l'autoritarismo patriarcale
Esce oggi in italiano Tradire il grande fratello di Leta Hong Fincher. Ne pubblichiamo uno stralcio (per gentile concessione della casa editrice Add)
“Godo tradendo il grande fratello”, aveva scritto Wei Tingting nei suoi diari dal carcere. Descriveva come si masturbava sentendo i passi delle guardie che andavano avanti e indietro davanti alla porta della sua cella. Assieme a Li Tingting, Wang Man, Zheng Churan e Wu Rongrong, era stata arrestata il 7 marzo 2015 per disturbo dell'ordine pubblico. Volevano distribuire adesivi contro la violenza sessuale in occasione della giornata internazionale delle donne ma furono scoperte e imprigionate prima.
All'epoca avevano tra i 25 e i 33 anni, e si erano già distinte con una serie di azioni volte ad attirare l'attenzione pubblica sulle discriminazioni di genere nei test di ingresso nelle università e nei colloqui di lavoro nonché per una campagna molto seguita in cui occupavano le toilette dei maschi per chiedere con forza che alle donne fosse destinato un maggior numero di bagni pubblici.
Le tennero dentro per 37 giorni in cui divennero note in tutto il mondo come le “cinque femministe” e raccolsero la solidarietà persino dell'allora candidata alla casa bianca Hillary Clinton e dell'autrice dei Monologhi della vagina Eve Ensler. Le loro battaglie, le provocazioni politiche e il loro coraggio sono raccontate da Leta Hong Fincher in Tradire il grande fratello (Add 2024, ma l’edizione originale è del 2018) che ruba le parole a Wei per titolare un saggio che teorizza come il nemico numero uno del presidente Xi Jinping sia proprio il femminismo.
La tesi è che il rifiuto femminista a sposarsi e avere figli e la caparbietà con cui le ragazze di oggi scelgono cosa fare del proprio corpo a prescindere da cosa suggerisce la propaganda, sia “la sfida più concreta” all'uomo forte che si presenta come “padre padrone” e vertice di “un Partito che deve la longevità politica proprio al sistema di autoritarismo patriarcale che ha costruito”.
All’epoca del nostro primo incontro, nel 2013, Li lavorava a tempo pieno per l’ong Yirenping di Pechino. Mangiammo in un piccolo ristorante di ravioli, in un tipico vicolo della capitale (i cosiddetti hutong), a pochi passi dal suo bugigattolo di ufficio, e lei pronunciò battute sconce sul fatto che nel movimento femminista cinese erano attive un mucchio di donne sessualmente non conformi.
«Arrivano che sono etero ed escono strane», disse ridendo, e mi spiegò che il femminismo liberava la mente delle donne, mostrando che esistevano stili di vita alternativi. Lamentava il fatto che era molto faticoso parlare con gli uomini etero, perché la Cina è affetta dal «cancro dell’uomo eterosessuale» (zhinan ai, più o meno «sciovinismo del maschio etero» o «maschilità tossica»), dopodiché rise di cuore.
Fu durante la prigionia del 2015 che diventò più indulgente verso il padre. Quando il suo avvocato lo vide e gli raccontò che gli agenti di sicurezza non la lasciavano dormire per interrogarla nottetempo e in generale la maltrattavano, l’uomo andò fuori di sé e minacciò di procurarsi una pistola per vendicare la figlia, se avessero continuato con quelle violenze. «Mi ha commosso molto», dice Li. «È un tipo focoso… è fatto così.»
Per essere un’iconoclasta che spesso prende in giro la tradizione cinese della pietà filiale, è notevole quanto Li sia disposta a perdonare il padre. Mentre nella sfera pubblica conduceva le sue battaglie contro la violenza domestica e le molestie sessuali, in quella privata credeva che il padre le volesse sinceramente bene. Aveva concluso che il suo comportamento tra le pareti di casa dipendeva dall’essere stato educato come un maschio sciovinista. A volte aveva la sensazione che l’aggressività paterna l’avesse preparata in qualche modo alle battaglie contro gli agenti della sicurezza di Stato durante la detenzione.
Aveva incontrato una minaccia molto più grande di suo padre – la violenza politica dello Stato patriarcale e autoritario – e questo era senz’altro il nemico più pericoloso contro cui combattere. Considerata la sua storia unica di persecuzione su molteplici fronti, riuscii a comprendere come mai le emozioni di Li verso una persona che per un soffio non l’aveva uccisa fossero così profondamente contraddittorie. «Molti mi chiedono perché sono diventata un’attivista femminista, ma secondo me sono una resistente da sempre. La resistenza è la mia vita quotidiana. Se non resisto, allora chi sono?»