Inevitabili separazioni
Visivamente strabiliante, e commovente nella narrazione. Un assaggio del taiwanese Animo Chen (per gentile concessione della casa editrice Add)
Quando mi feci grande me ne andai di casa e incominciai davvero a vivere da solo. Vivevo in “chiodo”, ossia una di quelle abitazioni che resiste alla demolizione, al centro di un parcheggio e vicino a un tempio. La mattina mi capitava di essere svegliato dai cori. Spesso nelle notti invernali avevo difficoltà ad addormentarmi, perché le zanzare lasciavano il freddo clima estivo per rifugiarsi nel tepore dell’appartamento.
Pensavo: se non fossi mai uscito se non per comprare cibo, le zanzare non avrebbero avuto modo di entrare. Le uniche possibilità sarebbero state le zanzariere e le piante ornamentali sul davanzale. I fori della rete delle zanzariere, piccoli come spilli, sicuramente riuscivano a bloccare i loro corpi, ma c’era sempre la possibilità che una mamma zanzara, per proteggere i figli dai colpi del vento e della pioggia e dai nemici naturali, una mamma che, proprio come la mia, non avesse una pancia poi così grossa, ecco c’era sempre la possibilità che potesse, sforzandosi, riuscire a infilare il basso addome nelle maglie per deporre le uova. E con questo stretching generazionale io diventavo il loro strumento di nascita.
Ma nulla è più importante del sonno e non potevo davvero permettermi di aiutare una mamma zanzara nella sua strenua lotta per la sopravvivenza. Per cui davo inizio al massacro. Al forte rumore della racchetta elettrica ammazza-zanzare si accompagnava l’odore di bruciato, e dentro ogni baby-zanzara schiacciata nei palmi c’era il mio sangue. Le raccoglievo in barattoli di vetro, che appendevo fuori la finestra come monito pubblico, come le pile di cadaveri nelle foto storiche.
Avevo circa vent’anni e questo appartamento era un ricordo della mia infanzia fino ai dieci anni. In tutti i vicoli che si allagavano quando pioveva forte, c’erano storie che a sentirle oggi sembrano leggende: una coppia di genitori che convertì un porcile in abitazione e riuscì a crescervi sette figlie; bambini e bambine che erano stati adottati dopo essere stati abbandonati; genitori che, prima dell’inizio della scuola, correvano avanti e indietro, affaccendandosi per i figli; un’amante che usava i figli per minacciare il compagno; una madre risposata che non mancava mai un appuntamento col figlio del primo matrimonio; un padre anziano che aveva perso il senno dopo la morte del figlio in un incidente stradale. E poi i miei genitori: una ricamava giorno e notte maglioni per signore, l’altro si svegliava alle cinque per spazzare l’ingresso del tempio e sbrigare faccende varie. Ogni sera entrambi mettevano su una bancarella di arachidi e lavoravano fino a notte fonda. Sembra che in ogni famiglia i genitori si diano da fare solo per i figli.
Il giorno in cui il penultimo appartamento fu abbattuto da un escavatore, anche il mio fece un salto, ma non sarebbe rimasto solo a lungo. Alla fine, si trattava di un “chiodo” che doveva essere tirato via. Noi cresciamo, ma le nostre memorie no, proprio come in certi amori. Alcuni aspetti della separazione sono inevitabili: quando necessario, bisogna che si tiri fuori qualcosa da scambiare con ciò che si dimentica.
*Animo Chen si è laureato all’università di Da-Yeh di Taiwan in comunicazione visiva e design, e ha conseguito un master in Belle Arti all’Accademia di Praga. Una breve elegia è il suo primo libro, con il quale ha vinto il BRAW come miglior fumetto alla Bologna Children’s Book Fair del 2020. Il suo ultimo lavoro, Love Letter, ha nuovamente vinto un BRAW nel 2021 per la categoria speciale Poesia