Ogni utero appartiene al Partito
Le scelte riproduttive delle donne minano il "sogno cinese" di Xi Jinping
Ogni cinque anni, la Repubblica popolare organizza un congresso femminista nella grande sala del popolo di piazza Tian'anmen. Come ogni evento ufficiale, è una sorta di parata i cui contenuti vengono decisi largamente in anticipo e raramente attirano l'attenzione dell'opinione pubblica. Si tratta più che altro di un tributo simbolico all’importanza che il partito attribuisce alle donne, almeno sulla carta. Quest'anno, complice il rallentamento economico e la spinta governativa alle politiche sulla natalità, è andata diversamente.
Ding Xuexiang, membro del comitato permanente dell'ufficio politico a cui è stato affidato il discorso di apertura, per la prima volta nella storia del congresso non ha fatto alcun riferimento all'eguaglianza di genere e ha anzi incoraggiato le donne a “una visione corretta sul matrimonio e l'amore, la maternità e la famiglia”. Il 30 ottobre scorso, in un discorso alla federazione di tutte le donne cinesi, il presidente Xi Jinping ha impiegato buona parte del suo tempo per affrontare i temi della fertilità e della famiglia. E non è la prima volta che sottolinea l’importanza di essere brave mogli e madri. “La diffusione del femminismo radicale, si legge su un report sulla natalità di un think tank affiliato al partito dello scorso maggio, ha un impatto negativo sulle convinzioni individuali delle donne e sul loro desiderio di diventare madre”.
Il disperato tentativo della leadership di arrestare il declino demografico della nazione si scontra ormai da qualche anno con una società completamente trasformata. Nonostante la cosiddetta politica del figlio unico sia stata allentata già nel 2016 e oggi le coppie possono, anzi, sono incoraggiate ad avere tre figli, i giovani sono restii a sposarsi e riprodursi. Molti di loro hanno difficoltà a trovare un lavoro, figuriamoci a comprare una casa o a metter su famiglia. E secondo il presidente, il motivo è da rintracciarsi nelle donne, sempre più indipendenti e in carriera. Le loro scelte riproduttive sono in collisione con il “sogno cinese” del leader. Dal 2012, quando è salito al potere, la Repubblica popolare è passata dal 69esimo posto della classifica mondiale sulla parità di genere compilata dal word economic forum, al 107esimo. Educazione, salute ed emancipazione politica sono i principali motivi di questa drastica discesa. E guardando in cima alla piramide che governa il paese se ne ha un riscontro plastico: nessuno dei 24 membri del nuovo ufficio politico è donna. Ed è la prima volta dal 1997.
Da quando si è accorto che la possibilità di avere più figli non si è trasformata nella sperata primavera demografica, il Partito stia cercando di spingere la donna a tornare a un ruolo più tradizionale e a quelle attività di cura, verso i figli e gli anziani della famiglia, che spera sia garante di una stabilità sociale, economica e demografica. Prima che si aprisse al mercato, trentacinque anni fa quando è iniziata l'epoca delle riforme, in Cina lavoravano tre donne su quattro e il loro stipendio era l'80 per cento di quello dei colleghi. Oggi lavora solo il 60 per cento delle donne a fronte di uno stipendio che è all'incirca la metà di quello percepito dai maschi. Come se non bastasse il numero di offerte di lavoro destinate esclusivamente a candidati maschi è in continua crescita. Solo nella pubblica amministrazione sono il 19 per cento, con picchi del cento per cento in alcuni settori. Sono lontani i tempi in cui la propaganda maoista aboliva “pratiche feudali” come matrimoni combinati e concubinato e celebrava “l'altra metà del cielo” per il suo contributo all'economia nazionale.
Tradendo l'ambizione comunista a una società libera dal patriarcato, chi lotta per i diritti delle donne è diventato un problema per lo stato. Ce ne siamo accorti già nel 2015 quando, alla vigilia dell’8 marzo, cinque giovanissime ragazze furono arrestate e detenute per 37 giorni per aver tentato di diffondere adesivi contro le molestie sessuali sui mezzi di trasporto pubblici. Nel 2016 una nuova legge sulle organizzazioni non governative ha costretto la maggior parte delle associazioni che si occupavano di diritti a chiudere, le femministe si sono trasferite su internet. È infatti sui social che il #MeToo (#🍚🐇 per aggirare la censura con gli omofoni) ha varcato la Grande muraglia. Il primo gennaio 2018 una studentessa ha denunciato di essere stata abusata dal suo supervisore e in molte hanno seguito il suo esempio. L’hashtag è stato censurato dopo appena due settimane. Dal marzo dello stesso anno i più importanti account social legati al mondo del femminismo cinese sono scomparsi. All’inizio del 2021 “provocare opposizione di genere” è diventata una delle spiegazioni ufficiali per giustificare la rimozione di un profilo. Oggi, oltre ai censori, le femministe devono temere il sempre più folto esercito di nazionalisti online, che le insultano e segnalano i loro account alle autorità competenti. Non stupisce che cresca il numero di chi, prendendo esempio dalla Corea del Sud, si rasa i capelli e smette di truccarsi per opporsi plasticamente al modello di bellezza di che le vuole strumenti del proprio potere.
Dopo che centinaia di milioni di cinesi sono state costrette a confrontarsi con aborti forzati, sterilizzazioni di Stato, femminicidi in culla e figli illegittimi durante i 35 anni della cosiddetta legge sul figlio unico (e non dimentichiamo che alcune di queste pratiche sono documentate ancora oggi nella regione dello Xinjiang a scapito delle donne appartenenti alla minoranza musulmana e turcofona uigura), il Partito è tornato a considerare l'utero come uno strumento per plasmare la società del futuro. Oggi le donne devono sposarsi giovani e fare tre figli per cercare di rallentare l’invecchiamento demografico. Nel frattempo possono stare a casa, che tanto lavoro ce ne è poco, e accudire i sempre più numerosi anziani, che prestissimo metteranno a dura prova le casse dello stato. Non stupisce che le single siano in crescita nonostante la propaganda si ostini a chiamarle con disprezzo “donne avanzate”, né che Xi Jinping tema le femministe quanto teme i “dissidenti”. Le donne possono rivelarsi il tallone di Achille di uno stato patriarcale e autoritario.
brava davvero, sei diventata una delle voci che seguo per imparare qualcosa di quel mondo...