Parole, parole, parole
L'atteso terzo plenum promette grandi riforme senza fornire nessun dettaglio
Si è chiuso il terzo plenum, ovvero una di quelle rare sessioni plenarie (generalmente sette ogni quinquennio) in cui i circa 370 membri del comitato centrale si riuniscono a porte chiuse per deliberare le direzioni che prenderà la seconda economia mondiale. Il terzo plenum è giudicato il più importante tra i sette perché generalmente annuncia cambiamenti nelle politiche economiche. Questo nello specifico, è stato lungamente atteso. In genere infatti si svolge in autunno. C'è solo un precedente per questo mai spiegato ritardo, quello del 1978 (quando comunque si tenne a dicembre). Allora, a chiusura della Rivoluzione culturale, i leader comunisti si trovarono d'accordo nel porre fine all'economia pianificata voluta da Mao Zedong.
Di fatto si trattò di quella svolta del socialismo con caratteristiche cinesi che apriva timidamente al mercato e che nei decenni successivi avrebbe portato la Repubblica popolare a diventare la seconda economia mondiale. Ma anche allora, a leggere il documento conclusivo non avremmo capito nulla: la parola “mercato” non c’era e le “riforme” erano citate appena due volte. Sei anni dopo la formula “riforme e aperture” era diventata l'etichetta per definire una nuova epoca nella storia cinese. Tutto questo per dire che non basta leggere il comunicato per capire cos'ha in mente Xi Jinping per il futuro del suo paese. E, forse, serviranno anni per capirlo.
Come al solito per orientarsi meglio bisogna affidarsi alla narrazione interna, ovvero alla propaganda. I nuovi mantra sono “mantenere fiducia nelle nostre capacità e coltivare l’autosufficienza”, le “nuove forze produttive per uno sviluppo di qualità” per un’autarchia tecnologica certo, ma soprattutto per cercare di ripristinare un clima di fiducia nei consumatori cinesi, e mostrare una possibilità di futuro percorribile ai giovani che per la prima volta si trovano di fronte a un problema di disoccupazione e di mobilità sociale quasi assente. Negli ultimi giorni l'agenzia di stampa Xinhua in hompage aveva praticamente solo titoli con all'interno il nome di Xi Jinping e la parola riforme. Così la mente vola a un lungo ritratto che la voce del Partito gli aveva dedicato qualche mese fa e che titolava proprio: Xi Jinping il riformista. Mi aveva colpito perché negli ultimi dieci anni il leader indiscusso della Repubblica popolare sembrava fare di tutto per cancellare l'eredità delle riforme di Deng Xiaoping. Così l'avevo anche letto. Il lungo articolo ricorda che quando Deng Xiaoping lanciò appunto le politiche di “riforme e apertura”, il pil pro capite della Cina era di duecento dollari, ma quando Xi Jinping è stato eletto a segretario del Partito nel 2012 quello stesso indicatore aveva raggiunto i seimila dollari. Ripercorreva poi la storia politica del leader, da quell'esperienza a sedici anni nelle campagne del villaggio di Liangjiahe dove soggiornò durante la rivoluzione culturale (e che ormai è diventata una meta del turismo rosso): “all'epoca l'aspirazione del giovane uomo era che tutti gli abitanti del villaggio avessero cibo a sufficienza per nutrirsi”.
Ora torniamo al comunicato. Ovviamente compaiono le “nuove forze produttive” per una “crescita di alta qualità”. Significa accettare che lo sviluppo rallenti e che auto elettriche, pannelli solari, batterie e lo sviluppo di intelligenze artificiale sono destinate a sostituire i comparti industriali del cemento e dell'acciaio. Ma forse questa sarà l'unica novità concreta. Il paese sta attraversando un momento estremamente difficile. La popolazione invecchia, il settore immobiliare, che per più di un decennio ha rappresentato circa un terzo del pil, è in crisi, i consumi sono sempre più deboli, le amministrazioni locali sono schiacciate dai debiti, gli investimenti diretti dall’estero non arrivano più e la disoccupazione, specie quella giovanile, è alle stelle. Il China Labour Bullettin registra un aumento esponenziale degli “incidenti” e delle proteste nei luoghi di lavoro. Bisognerebbe quindi migliorare lo stato sociale (soprattutto ospedali e assistenza agli anziani), alzare l'età di pensionamento, permettere alle amministrazioni locali di gestire una percentuale più alta delle tasse raccolte e alle aziende private di muoversi più liberamente e abolire finalmente il sistema degli hukou, ovvero quel sistema che lega i diritti dei cittadini al loro luogo di nascita (su quest'ultimo punto in verità qualcosa sembra muoversi: il comunicato afferma che l'integrazione tra la Cina rurale e quella urbana è “essenziale” alla modernizzazione cinese).
Per l'attuale leader, porsi nel solco di Deng Xiaoping significa essere il terzo leader a cambiare completamente la Cina, procedendo con il suo stesso metodo, quello di "guadare il fiume testando le rocce", ovvero avanzando per tentativi. Se i margini di manovra paiono stretti, l'obiettivo dichiarato è mastodontico: "creare una modernizzazione con caratteristiche cinesi che esplori nuove forme di civiltà umana". I motivi per essere ottimisti, secondo Xinhua, non potrebbero essere più solidi "l'unità del Partito con Xi Jinping al suo centro". Per ora, il tanto atteso plenum, promette grandi riforme senza fornire nessun dettaglio sulle misure economiche e sociali che varerà questa leadership. Semplicemente “bisogna avere una fiducia incrollabile”.
Da notare:
Nonostante l’hype sui social media, la notizia che Xi Jinping fosse stato colpito da un infarto durante la sessione plenaria si è rivelata infondata
L’espulsione dell’ex ministro della Difesa Li Shangfu è stata formalizzata, mentre l’ex ministro degli Esteri ("il compagno Qin Gang") si è solo dimesso dal Comitato centrale. La loro storia l'avevamo raccontata qui.
Sun Jinming, capo di stato maggiore della Forza missilistica dell'Esercito popolare di liberazione, è stato espulso dal partito per corruzione. Nell'ultimo anno almeno sette alti funzionari del braccio dell'esercito che sovrintende l’arsenale nucleare cinese sono stati rimossi dai loro incarichi