Ritorno a Confucio
I ruoli, l'ubbidienza, la tradizione. Tutto quello di cui la Repubblica popolare voleva liberarsi
“Se i genitori insegnano, li ascolterò con attenzione. Se mi rimproverano, obbedirò”. Questa è tra le prime regole del Dizigui, un compendio che spiega come “essere un bravo bambino e un buono studente” in appena un migliaio di parole. Fu scritto durante l'ultima dinastia da Li Yuxiu, uno studioso che aveva grossa esperienza nell'insegnamento del confucianesimo ai bambini. Oggi è alla base delle sempre più comuni scuole che promuovono i guoxue, letteralmente gli “studi nazionali”, ovvero quel complesso di discipline che vanno dalla calligrafia alla filosofia confuciana che dovrebbero contribuire al “rinascimento” della Repubblica popolare.
Siamo nell'istituto di studi nazionali Chengxian, una scuola che occupa l'ultimo padiglione del tempio di Confucio, un edificio che risale al XIV secolo situato nel centro storico di Pechino. La mattina in cui la preside Ji Jiejing ci da appuntamento, l'inquinamento è 20 volte superiore all'esposizione massima consigliata dall'Organizzazione mondiale per la sanità. Mentre attraversiamo i cortili, ci domandiamo se le aule sono dotate di filtri per l'aria o se i bambini ripetono i classici confuciani indossando le mascherine anti smog. Con la coda dell'occhio, seguiamo un gruppo di turisti cinesi che si inchina di fronte alla gigantesca statua del grande saggio.
La scuola ha raggiunto la sua capienza massima, un centinaio di studenti. Per la maggior parte sono di età compresa tra i quattro e i sei anni. Vestono una specie di vestaglia di raso: le bambine in rosa e i bambini in blu. Non indossano la mascherina e nelle aule non c'è nessun purificatore per l'aria. Il posto d'onore è occupato da una piccola statua di Confucio in ceramica. Il saggio del VI secolo a.C. veste esattamente gli stessi abiti dei bambini, la sua barba bianca e la sua storia invogliano al rispetto. Poggia su un piccolo altare. Di fronte a lui, le offerte in frutta e cibo che si riservano agli antenati sono elegantemente posizionate su tre piattini.
“Il percorso ideale di ogni cinese è innanzitutto quello di coltivare la propria morale e saper gestire i rapporti all'interno della propria famiglia. Solo allora potranno partecipare agli affari di stato e portare la pace nel mondo” ci spiega la preside citando a braccio uno dei quattro classici confuciani. È una donna che ha superato la cinquantina. Capelli corti e tinti. Giubetto di cotone decorato con una fantasia floreale e filo di perle. “Si tratta di recuperare le proprie tradizioni per imparare ad essere innanzitutto una persona rispettosa. È il primo passo per diventare adulti. A prescindere da cosa riserverà loro il futuro”.
L'istituto Chengxian ha aperto nel 2007 e da allora il numero degli studenti è cresciuto più del dieci per cento all'anno. Le famiglie pagano una retta annuale di circa 900 euro. Imputano la mancanza di moralità dei tempi moderni all'abbandono degli insegnamenti dell'antico maestro. “Corruzione, inquinamento, sicurezza alimentare... Non dovremmo affrontare tutti questi problemi se avessimo continuato a coltivare la nostra ren, invece di inseguire il profitto” ci spiega una mamma in attesa di informazioni. Ren, è una delle virtù fondamentali individuate da Confucio, ovvero la comprensione che l'uomo deve mostrare verso i propri simili. Un'altra è il rispetto dei li, i riti, unica garanzia dell'ordine politico e sociale.
Come ci spiega Sébastien Billoud, professore di religioni della Cina contemporanea all'università Paris-Diderot, “dal punto di vista del potere inculcare regole comportamentali fa parte di un progetto 'civilizzatore' volto ad aumentare la suzhi [parola pressoché intraducibile che lega la qualità dei cittadini al loro comportamento nella società] e il controllo dello Stato sul popolo”. Secondo il professore autore di Le Sage et le peuple (Cnrs Éditions, 2014), “questo confucianesimo non è la reinterpretazione articolata di un pensiero filosofico, ma semplicemente uno degli ingredienti del nuovo cocktail ideologico governativo. Si mischia con la cultura tradizionale e con il maoismo”.
Un miscuglio che sembra incredibile a chi conosce la storia cinese. Ancora prima che il Partito comunista prendesse il potere, a Confucio erano attribuiti tutti i mali di una società stagnante e ineguale. Appena cinquant'anni fa, durante la rivoluzione culturale, Mao diede l'ordine di distruggere i “quattro vecchiumi”: vecchie tradizioni, vecchie abitudini, vecchia cultura e vecchie correnti di pensiero. “Criticare Confucio” era uno dei doveri imprescindibili di ogni buon comunista. Nessuna nuova società sarebbe potuta sorgere senza che i suoi insegnamenti tanto reazionari eppure tanto radicati nella mentalità cinese fossero eliminati alla radice. Ma oggi il Partito è di tutt'altro avviso. Probabilmente siamo di fronte alla maggiore novità in ambito intellettuale della Cina contemporanea.
Nel 2011, un'enorme statua di Confucio fu eretta di fronte al Museo nazionale di piazza Tian'anmen. Il saggio e il rivoluzionario Mao si trovarono per la prima volta fianco a fianco, entrambi icone di una nazione lanciata verso un radioso futuro. Quattro mesi più tardi la statua fu misteriosamente rimossa. Ma nel 2013 una delle prime uscite pubbliche di Xi Jinping in veste di presidente fu proprio la visita al paese natale di Confucio. Xi è stato anche il primo leader comunista ad aver partecipato alle celebrazioni per la nascita del saggio.
Secondo Maurizio Scarpari, professore di cinese classico a Cà Foscari in pensione e autore di Ritorno a Confucio (Il Mulino, 2015), “il ritorno del confucianesimo è uno strumento indispensabile per la creazione di un sistema ideologico rinnovato in grado di integrare i principi del maoismo e le teorie liberiste proprie di un’economia di mercato”. “Nei prossimi anni – azzarda Scarpari - assisteremo a un cambiamento radicale della società cinese”. Intanto, sotto lo sguardo impassibile del saggio, bambini in età prescolastica imparano a memoria che bisogna rispettare le autorità e chi è più anziano. Nessuno spiega loro che l'inquinamento atmosferico è ben più pericoloso di quello ideologico che tanto fa paura al Partito. Anche per il mantenimento dell'ordine sociale.
[Questo articolo è uscito a dicembre 2015 per il settimanale Pagina99 (rip).
Sono trascorsi otto anni da allora, in Cina e nel mondo sono cambiati molti equilibri, e si respira un’altra aria. A Pechino sono riusciti a contenere l’inquinamento, e se indossano le ffp2 non è per tutelarsi dalle polveri sottili. Ma qui ci sono i semi di quello che mi sembra germogliare nel modello sociale che propone il governo.
La suzhe per esempio potrebbe essere tradotta oggi nel sistema a punti del credito sociale digitale. Per farla semplice: se passi col rosso, non è detto che meriti di poter prendere un’aereo.
Leggo spesso di gente vestita alla confuciana (qui, per esempio, in un’inaspettato China Daily). E siamo al punto che c’è persino una (presunta) influencer sinocanadese.
L’articolo non l’ho toccato, e non ho avuto il tempo di verificare se la scuola esiste ancora. Ma sul tema mi piacerebbe tornare. O saperne di più.
Se qualcunə di voi ha notizie di prima mano, sarei felice di dargli spazio]