Stringetevi a coorte
Pechino trasforma i cittadini in coloni e introduce l'educazione militare a scuola
Li chiamano i “guardiani del confine”, ma altrove sarebbero forse definiti coloni. Se ne parla già da qualche anno, per la precisione dal 28 ottobre del 2017, quando Xi Jinping in persona scrisse una lettera aperta a due sorelle tibetane, uniche abitanti assieme al padre di Yumai, microscopico e inospitale villaggio al confine con l’Arunachal Pradesh, territorio indiano che la Repubblica popolare rivendica come parte meridionale del Tibet: “Il vostro insediamento di tre persone, diventerà una cittadina bella, felice e benestante”. E soprattutto: “Spero continuerete a coltivare il vostro spirito patriottico e di guardiani dei confini”.
L’anno scorso il quotidiano di partito in lingua inglese Global Times ha pubblicato un breve reportage con foto su quella che è ormai una vera e propria new town: ormai ci vivono oltre 230 persone che possono godere dell’allaccio alla rete elettrica, alla rete mobile 5g, strade asfaltate, servizi medici e finanziari. La foto in apertura del servizio racconta più di mille parole.
Ma torniamo al 2017. A luglio di quell’anno, il governo della regione autonoma tibetana aveva annunciato la costruzione di centinaia di villaggi di confine. Secondo i media di stato, tra il 2018 e il 2022, ne sarebbero stati portati a compimento 624, la maggior parte dei quali sulla linea di confine con l’India, con strutture sia per uso civile che militare. Nel 2020 un politico di una contea di frontiera riferisce di aver trasferito oltre tremila persone in luoghi “poco controllati, contesi o vuoti”. L’esperimento deve aver funzionato perché, come spesso accade nella Repubblica popolare, nell’ottobre del 2021 diventa parte della legge nazionale sui confini che “incoraggia i cittadini appartenenti a qualsiasi gruppo etnico a stabilirsi nelle aree di confine per proteggere la madrepatria”.
Ma nel secondo paese più popoloso al mondo, i luoghi non antropizzati sono generalmente inospitali e inadatti al sostentamento umano. Per incoraggiare i suoi cittadini a trasferirvici, i governi locali devono garantire alloggi economici e salari. In un ambizioso lavoro di giornalismo investigativo su immagini satellitari e documentazione, il New York Times prova a mappare i nuovi insediamenti sui confini sudoccidentali della Cina e ricostruisce un contributo di poche migliaia d’euro a famiglia per il trasferimento più un misero salario mensile per chi è disposto a pattugliare i confini.
Il punto è proprio che in aree dove l’agricoltura è praticamente impossibile per ragioni geografiche e climatiche e dove l’industria e il terziario sono assenti, è difficile per chi ci vive trovare altre forme di sostentamento. Si può tranquillamente ipotizzare che i locali non abbiano alternative all’obbedienza, perché persino il cibo deve essere lì trasportato e distribuito da zelanti funzionari di Partito. Non è un caso che nelle immagini studiate dal quotidiano statunitense non c’è traccia di luoghi religiosi, mentre “le bandiere cinesi e i ritratti del presidente Xi Jinping sono ovunque”.
Ragionando per analogia, ci troviamo di fronte allo stesso metodo usato per le acque contese del mar cinese meridionale dove si sono trasformati atolli e banchi di sabbia in isole dotate persino di aeroporti e dove si sono incoraggiati i pescatori a spingersi sempre trasformando le loro navi in avamposti militari. Nel 2016 un'inchiesta di Reuters aveva messo in luce come, nell'isola di Hainan, i pescatori ricevevano un training militare e alcuni sussidi come carburante, acqua e ghiaccio. In cambio dovevano dare notizia sulla posizione delle navi e delle barche straniere. L’operazione era sovraintesa dall’Esercito di liberazione popolare e dalle sezioni locali del Partito comunista cinese e, sempre secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa, almeno 50mila pescherecci erano già stati dotati di dispositivi satellitari e, in alcuni casi, di armi da fuoco. Tutti erano attivi nelle acque contese.
La sempre maggiore enfasi sull'addestramento militare dei civili riflette il crescente nazionalismo della Cina sotto la guida di Xi Jinping. Come mette in luce un reportage del quotidiano britannico Guardian, già da settembre scorso il ministero della difesa ha promosso l’introduzione dell’educazione militare nelle scuole primarie e secondarie “per impiantare nel cuore degli studenti un profondo senso di patriottismo, rispetto per le forze dell’ordine e preoccupazione per la difesa nazionale”. Nello stesso articolo Katja Drinhausen, analista del Merics, sottolinea come l'educazione militare è solo uno dei tanti aspetti di una campagna più ampia per rafforzare il Partito in un frangente storico molto difficile per Pechino: “C'è una rinnovata attenzione per l'addestramento militare e per la creazione di un consenso da parte di tutta la popolazione riguardo a ciò che fa l'esercito, un consenso che serve anche ad aumentare lo spirito di unità a livello interno nel momento in cui il Partito ha bisogno di trovare nuove fonti di coesione sociale e di legittimità politica, visto che l'economia non lo fa più”. Insomma, trasformare i cittadini in soldati servirebbe anche, e forse soprattutto, a renderli obbedienti al Partito.