Traducendo la quotidianità di Lu Xun
Spunti dal diario dell'intellettuale simbolo del passaggio dall'impero alla repubblica
A febbraio di quest’anno ho iniziato a tradurre e pubblicare online il diario privato (riji) del padre della letteratura moderna cinese ovvero lo scrittore Lu Xun, al secolo Zhou Shuren (1881-1936). A oggi sono disponibili i primi cinque mesi, dal maggio 1912 fino al settembre dello stesso anno, periodo in cui Lu Xun è a Pechino impegnato a trascrivere poesie di epoca Tang, a inveire contro i vicini di stanza che gli impediscono il sonno e a pensare alla propria famiglia nella lontana Shaoxing in occasione della festa di metà autunno.
Il lavoro procede lentamente, ma con metodo e regolarità. Mi auguro di avere le energie per arrivare al 18 ottobre 1936, quando Lu Xun annota un semplice: “Riposo”. Morirà il giorno seguente a causa di un ultimo accesso di tubercolosi, la cosiddetta “malattia nazionale” della Cina di allora. Il progetto, in inglese e su wordpress, si chiama Lu Xun’s Diary, translated, e queste sono le mie riflessioni al riguardo.
Nella prefazione all’edizione dei Dialoghi di Confucio da lui curata, Simon Leys riporta un passaggio dall’opera di Lu Xun, utile a inquadrare questo mio progetto: “Quando un vero genio si affaccia al mondo, la gente comune si affretta a sbarazzarsene al più presto. A tal fine, vi sono due metodi. Il primo è la soppressione: questi viene isolato, affamato, abbandonato nel silenzio, sepolto vivo. Se il primo metodo non funziona, ve ne è un secondo (molto più radicale e terribile), ovvero l’esaltazione: questi viene posto su un piedistallo e trasformato in un dio.” Episodi come quelli descritti poco sopra, così riconoscibili e condivisibili nella loro troppo umana umanità, contribuiscono rovesciare il piedistallo su cui è da stato posto Lu Xun nel lungo processo di canonizzazione seguito alla sua morte. È a partire da queste considerazioni che questo mio progetto prende forma.
Per chi si interessa di letteratura cinese moderna, è inevitabile il confronto con la figura di Lu Xun, la cui voce unicamente riconoscibile (anche in seguito a decenni di canonizzazione) rappresenta come poche altre l’impeto rivoluzionario del Movimento di Nuova Cultura. La mia personale fascinazione nei suoi confronti iniziò con la lettura di Zhao hua xi shi nella traduzione di Anna Bujatti (Fiori del mattino raccolti alla sera), che presentai in occasione di un esame notandone il tono più “melanconico e riflessivo” rispetto ai suoi primi racconti. Questa fascinazione continuò fino all’inizio del mio dottorato, quando per un breve periodo mi misi in testa di voler lavorare sul suo diario, che mi pareva allora (in maniera molto ingenua) terreno relativamente inesplorato. Questo progetto non prese mai forma, soprattutto per malriposta delusione: convinto che vi avrei trovato spaccati inediti di vita privata (come nelle sue lettere) misti a taglienti riflessioni sullo stato delle cose presenti (come nei sui zawen), mi scontrai con la laconicità telegrammatica di voci come “Ricevuta lettera da secondo fratello”, “comprato libro a Liulichang”, “visita del collega X”, etc. Volendo a quel tempo occuparmi di letteratura letteraria, e non sapendo come approcciare accademicamente questo tipo di scrittura, misi da parte il diario per concentrarmi su altre cose. A più di dieci anni di distanza e con maggiore esperienza alle spalle, è un piacere scoprire quanto da questo testo si possa dissotterrare intorno alla figura di Lu Xun anche a partire dalle sue pagine più scarne.
Scritto in un cinese di impianto classico e perciò intrinsecamente letterario, utilizzato tuttavia da Lu Xun per prendere meticolosamente nota della propria quotidianità (i soldi spesi, i libri acquistati, i luoghi visitati, le lettere inviate, le visite ricevute, gli impegni sbrigati), il testo del diario non si presta necessariamente a facile interpretazione. In questo senso, anche i dettagli più apparentemente minuti aprono a problematiche di più ampio respiro riguardanti il contesto in transizione della nuova Cina fra impero e repubblica. Riporto qui un caso semplice ma indicativo: emerge fin da subito dalla lettura del diario l’attenzione di Lu Xun verso la propria città natale nella provincia del Zhejiang; ciò si evince dalla corrispondenza giornaliera col fratello Zhou Zuoren (responsabile dell’amministrazione degli affari di famiglia), ma anche dalla perizia con cui Lu Xun annota in questo periodo la ricezione del quotidiano Shaoxingese Minxing ribao, effettivamente l’unico di cui Lu Xun si premura di prender nota. Si pone qui un problema concreto a cavallo fra storia e traduzione: mentre nell’annotare la ricezione delle lettere del fratello Lu Xun utilizza senza eccezione il verbo de (“ottenere”, “ricevere”) come nella formula “de er di xin” (ricevuta lettera [da parte] di secondo fratello), nel caso del quotidiano egli usa invece il verbo shou (“ricevere”, “collezionare”), come in “shou liu yue ershiwu ri Minxing ribao yi fen” (ricevuta una copia del Minxing ribao datata 25 giugno”). Cosa vuol dire effettivamente shou in questo particolare contesto? Non è scontato, per esempio, che voglia dire semplicemente “comprare”, giacché per questo tipo di azione (soprattutto in riferimento a libri e oggetti d’uso quotidiano) Lu Xun utilizza regolarmente il verbo gou (“acquistare”); al contempo, non è chiaro se in questo periodo Lu Xun ricevesse il quotidiano direttamente presso l’ostello della gilda di Shaoxing a Pechino (dove aveva in affitto una stanza) tramite un qualche servizio di consegna, o se in quanto impiegato ministeriale avesse accesso a questo servizio—se così fosse, perché dunque non “ricevere” (de) il giornale proprio come una lettera? Infine, il verbo shou sembra avere qui un’accezione più attiva rispetto al de usato per la corrispondenza, come a voler indicare che, in quel di Pechino nel 1912, ottenere copie di quotidiani locali provenienti da altre e ben lontane province non fosse cosa affatto scontata. Alla luce dell’eccezionale sensibilità di Lu Xun nei confronti della lingua scritta, la compresenza di questi due verbi porta chi ne legge il diario a interrogarsi necessariamente sulla materialità della vita di tutti i giorni nella nuova Repubblica di Cina a inizio Novecento, foss’anche riguardo alla maniera in cui un abitante della capitale potesse procurarsi un giornale periferico (per posta, per consegna, al “tabacchino”) e alle infrastrutture (il servizio postale imperiale mutuato dalla nuova repubblica, le reti di connessioni interpersonali della gilda di Shaoxing a Pechino) che rendevano possibile o meno questa eventualità.
Ma al di là degli aspetti più strettamente linguistici legati alla resa di questo testo, la sua pubblicazione online ha preso una piega inaspettata. Nel tentativo di corredare le voci tradotte a foto e immagini utili a rappresentarne visivamente il contenuto, mi sono presto resoconto che la maniera migliore di presentare il diario di Lu Xun in traduzione era ed è appunto in forma di visual history. In questo senso, una delle sfide più interessanti poste da questo progetto continua a essere quella di visualizzare la quotidianità di Lu Xun qua Zhou Shuren per mezzo di materiali “d’epoca” (fotografie, pubblicazioni, mappe dei luoghi, ritratti dei personaggi, etc.) estrapolati a partire dai dettagli presenti nel testo. Si tratta di una caccia al tesoro che, al netto della frequente frustrazione, porta spesso a scoperte inaspettate e intersezioni inedite fra la vita di Lu Xun, la Pechino da lui abitata (in veste di impiegato del Ministero dell’Educazione sotto la guida di Cai Yuanpei), e la capitale cinese di oggi. È proprio a partire dal diario, per esempio, che sono venuto a conoscenza di quello che si può considerare il primo zoo cinese, ovvero il Parco di Wansheng istituito dall’Imperatrice Cixi nel 1908, nel quale troviamo Lu Xun a passeggio in una tarda mattina di maggio del 1912; del mercato di Qingyunge, sorprendentemente ancora attivo tutt’oggi, dove Lu Xun era uso andare a farsi tagliare i capelli, comprare “calzini, dentifricio in polvere, e altre cose per la casa”, e occasionalmente bere del tè con l’amico Jishi (Xu Shouchang); o ancora dei tanti ristoranti in cui lo scrittore era solito andare a cena (per poi spesso tornare a casa inebriato), e ancor più numerosi antiquari in cui egli andava in cerca di libri antichi.
A tre mesi di distanza dal suo inizio, questo progetto procede lentamente, ma con metodo e regolarità. Mi auguro di avere in me stesso le energie per portarlo a termine fino alla fine, ovvero fino al 18 ottobre 1936, riguardo al quale Lu Xun annota un semplice: “Riposo.” Morirà il giorno dopo a causa di un ultimo accesso di tubercolosi, la cosiddetta “malattia nazionale” della Cina.
Non sapevo e trovo interessante che uno scrittore della fama di Lu Xun abbia esordito scrivendo un libro tecnico di geologia mineraria e trovo anche molto curioso che le informazioni in questo libro erano tratte da testi giapponesi. Indubbiamente pero si collega con il Movimento per la Nuova Cultura, non soddisfatto dalla cultura cinese tradizionale e letteraria.