Un terzo fronte per gli Stati Uniti?
Nel Mar cinese meridionale c'è un relitto che può far deflagrare il conflitto
È forse la base militare più atipica che ci sia. Negli ultimi venticinque anni il relitto della Sierra Madre, una nave da guerra impiegata durante la seconda guerra mondiale dalla marina statunitense poi comprata dalle Filippine e volutamente arenata nel 1999 su un banco di sabbia dell’arcipelago delle Spratly, segna l’avamposto di Manila nel Mar cinese meridionale.
Ci stazionano una decina di soldati, che per mesi non hanno altro da fare che guardare (e riguardare) film su una piccola televisione a batterie. Una sorta di accampamento permanente a 194 chilometri dalla terraferma, o meglio, dall’arcipelago di Palawan nelle Filippine. Inutile dire che sulla sabbia lì intorno non cresce nulla. Acqua potabile, viveri e qualsiasi genere di conforto deve essere trasportato via nave, cosa che avviene con regolarità, una o due volte al mese. Ma, negli ultimi tempi, le scialuppe che portano rifornimenti sono state spesso circondate e attaccate dalle navi della guardia costiera cinese che hanno provocato, almeno in due recenti occasioni, danni alle imbarcazioni e feriti tra l’equipaggio.
Il patto tra gentiluomini
A fine marzo, in un’intervista al portale di informazione Politiko, Harry Roque che è stato a lungo il portavoce dell’ex presidente filippino Rodrigo Duterte, ha spiegato il comportamento sempre più aggressivo della Repubblica popolare menzionando il “patto tra gentiluomini” per il mantenimento dello status quo nel Mar cinese meridionale tra l’uomo che all’epoca rappresentava e il presidente cinese Xi Jinping. L’accordo, verbale e non vincolante, prevederebbe che le Filippine possano rifornire di acqua e viveri la nave Sierra Madre ma che non possano in alcun modo recapitargli materiali da costruzione o utili a riparare la nave che, non avendo ricevuto manutenzione per tanti anni, ormai rischia concretamente di cadere a pezzi e affondare con il risultato di eliminare naturalmente l’ultimo avamposto filippino.
Il trattato di mutua difesa
Duterte, ha confermato l’esistenza di quel patto solo settimane dopo, l’11 aprile, in una conferenza stampa indetta proprio nel giorno in cui il suo successore, Ferdinand Marcos jr era alla Casa Bianca per un summit trilaterale con Joe Biden e il primo ministro giapponese Fumio Kishida. Un’occasione in cui il presidente statunitense ha confermato pubblicamente che il trattato di mutua difesa firmato nel 1951 tra i due stati, che prevede l’aiuto reciproco in caso di aggressione di uno stato terzo, è ancora in vigore e ha specificato che sarà onorato anche se gli attacchi avverranno “nel Pacifico, ogni zona del Mar cinese meridionale inclusa”. E qui si arriva al punto.
Spalla a spalla per fermare Pechino
Lunedì 22 aprile comincerà Balikatan, letteralmente “spalla a spalla”, l’annuale esercitazione militare congiunta tra Stati Uniti e Filippine. Durerà per più di due settimane, fino al 10 maggio, e per la prima volta le esercitazioni navali avverranno anche fuori dalle acque territoriali filippine, in quella che considera la sua zona economica speciale ma che Pechino ritiene afferente al suo territorio perché all’interno di quella “linea a nove tratti” che Mao Zedong disegnò, sulla base di una precedente mappa, nel 1952. Prima di entrare nello specifico delle acque contese, è bene segnalare che nelle esercitazioni previste quest’anno ci saranno altre due novità. Innanzitutto per la prima volta parteciperanno anche le imbarcazioni della guardia costiera filippina, ovvero quelle preposte a rifornire i soldati di stanza nella Sierra Madre. E in secondo luogo, ma non meno importante, per l’esercizio di affondamento si userà la già dismessa Lake Caliraya, l’unica nave fatta in Cina della flotta filippina. Oltre a undicimila uomini statunitensi e cinquemila filippini, parteciperanno anche militari francesi e australiani, mentre altri 14 paesi avranno ruolo di osservatori.
Preparati allo scontro
Nell’attesa di vedere come andrà, durante quest’ultima settimana si sono testati i nervi. Il 15 aprile gli Stati Uniti hanno fatto sapere che l’11 aprile scorso, ovvero lo stesso giorno del trilaterale a Washington e delle dichiarazioni di Duterte, un sistema di missili a medio raggio è stato posizionato “con successo” sull’isola di Luzon, a nord delle Filippine. Il sistema supporta due tipi di missili che possono arrivare a colpire a 250 e a 2.500 chilometri di distanza. Un atto che dal 1987 al 2019 sarebbe stato impensabile perché una chiara violazione del trattato Inf (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty) dal quale l’ex (e forse futuro) presidente Donald Trump ha pensato bene di uscire. Un atto che ovviamente è stato condannato da Pechino.
Il 16 aprile il ministro della difesa cinese Dong Jun e il suo omologo statunitense Lloyd J. Austin III hanno parlato, per la prima volta dal novembre del 2022, in videoconferenza. Seppure l’intento era quello di “normalizzare” le relazioni, sulle questioni che riguardano il Mar cinese meridionale ognuno è rimasto sulle sue. La Repubblica popolare ha ribadito “una ferma posizione” e gli Stati Uniti “il diritto a una libera navigazione”. Poche ore dopo la loro conversazione, un aereo da ricognizione statunitense ha sorvolato lo stretto di Taiwan, e l’esercito di liberazione polare ha accusato gli Usa di “voler andare allo scontro”.
Le acque agitate della linea a nove tratti
L'area è calda da sempre. Di qui passa già un traffico di merci del valore
annuale di 5mila miliardi di dollari. È di fatto un passaggio fondamentale per quella che Pechino chiama “nuova via della seta marittima”: controllare il Mar cinese meridionale significa avere un corridoio di accesso ad oriente verso il Pacifico e a occidente verso l'Oceano indiano e, quindi, l'Europa. Come se non bastasse, le sue acque sono estremamente pescose e i suoi fondali ricchi di petrolio e gas.
Per affermare la sua supremazia sull'area, Pechino, che ne rivendica circa il 90 per cento, ha cominciato un'opera di cementificazione massiccia degli atolli, fino ad oggi in gran parte disabitati. Nelle isole Paracel, Scarborough e Spratly sono stati costruiti porti, aeroporti e diverse strutture con funzioni civili e militari. La giustificazione formale è che questi atolli compaiono come parte del territorio cinese in una mappa del 1947. Taiwan, che dalla Repubblica popolare è già considerata territorio nazionale, le rivendica sulle stesse basi. Il Vietnam contesta che l'area è sotto il suo controllo fin dal XVII secolo e che la Cina non ha dichiarato la sovranità su queste isole fino a quando non ha tirato fuori quella mappa. Le Filippine ne sottolineano la prossimità geografica alle sue coste, mentre Malesia e Brunei si appellano al fatto che alcune di quelle isole sono all'interno della loro zona economica esclusiva definita dalla Convezione delle Nazioni Unite sul diritto del mare.
Nel 2013 Manila si è appellata al tribunale dell'Aja che nel 2016 ha concluso che non ci sono le basi legali per la rivendicazione su base storica della Repubblica popolare ma Pechino non ha mai riconosciuto l'arbitrato e ha sempre dichiarato che avrebbe trovato una mediazione con i singoli stati che, per tutelarsi, hanno cercato la protezione statunitense. Gli interessi di Washington, che cerca di ristabilire la sua egemonia sul Pacifico per contenere la Cina, coincidono. Ma questo significa anche nuove provocazioni e nuovi rischi di conflitto. Le esercitazioni marittime congiunte sono sempre più lunghe e frequenti. Il rischio di un incidente imprevisto che potrebbe innescare una reazione a catena è sempre più concreto.