Una lapide sul totalitarismo
La verità storica è un antidoto al sistema. Parola di Yang Jisheng, e della sua traduttrice
Lapidi (Adelphi , 2024) è la storia di come, in soli tre anni, possono morire di fame 36 milioni di persone. È la storia di come una rivoluzione si trasforma in dittatura, di come una vittima si trasforma in carnefice e il presidente di un partito comunista in imperatore. È la disamina politica e sociale di “una catastrofe senza precedenti nella storia dell’umanità: decine di milioni di persone morte di fame e cannibalismo diffuso in condizioni climatiche normali e in assenza di guerre o epidemie”. L’autore, Yang Jisheng, è un giornalista che ha lavorato tutta la vita per l’agenzia di stampa di stato cinese Xinhua. Ha sfruttato le sue credenziali per avere accesso ai documenti che gli avrebbero permesso di spiegare come l’ignoranza delle masse e la volontà dei sottoposti di compiacere il leader abbiano portato la dirigenza comunista a prendere decisioni politiche sulla base di notizie false.
“Un sistema privo di un meccanismo correttivo è il più pericoloso”, conclude Yang che ha pubblicato questo libro ad Hong Kong solo nel 2008, e solo dopo essere andato in pensione. Nel 2016 gli è stato impedito di uscire dalla Cina e, oggi, preferisce non rilasciare interviste. Ne abbiamo parlato con la sua traduttrice Natalia Francesca Riva, ricercatrice e docente di lingua e cultura cinese all’università cattolica del sacro cuore di Brescia.
“Tecnicamente non sono una storica della Cina, ma ho una formazione accademica: ho insegnato storia della Cina contemporanea e ho un dottorato in storia, istituzioni e relazioni internazionali della Repubblica popolare”. Quando le chiediamo cosa le ha lasciato questo libro, Riva si presenta. Vuole farci capire che non era digiuna dell’argomento, quando si è approcciata a questo mastodontico lavoro di traduzione. Il grande balzo in avanti e la grande carestia che ne è seguita - i tre anni di disastri naturali, li ha ribattezzati la propaganda - li ha studiati sui libri di storia. Ma altra cosa è “entrare nel dettaglio di quello che è l’effetto concreto degli eventi storici sulle persone”.
“Ai traduttori insegnano a cercare le parole giuste nelle esperienze che hanno vissuto e a immaginare quello che è descritto nelle pagine di un libro come fosse successo a loro. Ma qui mi trovavo a leggere di un tipo di morte che non potevo conoscere”. Riva non vorrebbe ammetterlo, ma è rimasta colpita soprattutto dalle storie macabre di cannibalismo contenute nelle pagine di Lapidi, sono quelle che l’hanno tenuta sveglia la notte. Mentre i funzionari locali implementano le direttive di un Mao Zedong sempre più arrotolato nel suo ego, ci sono bambini che per sopravvivere consumano i cadaveri dei genitori morti di stenti, mogli che vanno alla ricerca dei propri mariti solo per ritrovarsi in mano un mucchietto di ossa scarnificate dai compagni o che, dopo essersene saziate, ne rivendono le carni al mercato nero. “Il digiuno prolungato - spiega Yang con il distacco proprio dello storico che restituisce al grande pubblico le memorie contenute negli archivi - faceva perdere la ragione alle persone, che diventavano come animali”.
“C'è poi tutto il discorso politico, che dal punto di vista di una studiosa è veramente interessante. Quando parlo con i miei studenti di questo libro o di quel periodo storico, uso un’immagine che Yang ripete due volte, all'inizio e alla fine del suo saggio. Il sistema totalitario ha come effetto la creazione di individui doppi: schiavi dei propri superiori, ma dittatori con i sottoposti. Una sintesi che spiega bene come sia difficile uscire da una rete politica così capillare”. Infatti, come sottolinea Yang nella sua bellissima introduzione, “Mao Zedong era uno dei creatori di questo modello e a sua volta ne subiva il controllo. Era da una parte consapevole delle proprie azioni e dall’altra privo di scelta. Nessuno infatti aveva il potere di opporsi a questo sistema, nemmeno Mao Zedong”.
Anche la storiografia ufficiale della Repubblica popolare ha dovuto scendere a patti con questo periodo. L’ecatombe che è seguita al grande balzo in avanti fa parte di quel “trenta per cento sbagliato” dell’operato di Mao Zedong certificato dal partito ma, come spiega Riva, “qui la storia costruita per legittimare il potere viene scardinata dalla memoria individuale e collettiva. La ricostruzione di Yang ribalta la narrazione ufficiale per cui la carestia era stata causata da eventi climatici avversi e dagli errori dei funzionari locali per portare le colpe a un livello superiore”. Per il giornalista, infatti, il problema fondamentale è da rintracciarsi nel fatto che in assenza della separazione dei poteri non c’erano (e non ci sono) meccanismi in grado di fermare un processo sbagliato. “Mao non deteneva soltanto il potere politico e militare, ma rappresentava anche la massima autorità ideologica. Come in una teocrazia, il centro del potere era anche il centro della verità”. Come evitare di fare paralleli con il “xi-ismo” e la Cina di oggi?
“A lavoro concluso, mi sono chiesta se avrei subito ripercussioni per aver tradotto questo testo, e se potrò ancora far ricerca sul campo in Cina. Ma soprattutto mi sono resa conto del coraggio dimostrato da Yang nel portare avanti quest’inchiesta e nella scelta di descrivere le colpe di quel partito comunista cinese che, seppur con una leadership rinnovata, è ancora al governo”. Lo spiega lo stesso Yang Jisheng: “Come studioso, avevo la responsabilità di ricostruire la verità storica e di raccontarla a tutti coloro che, come me, erano stati ingannati” perché “in un sistema totalitario, chi detiene il potere nasconde i propri crimini ed esalta i propri meriti, dissimula i propri errori e cancella a forza il ricordo dei disastri causati dall’uomo, del suo lato oscuro e delle malvagità di cui è capace. Proprio per questo i cinesi soffrono spesso di amnesia storica: il potere ci costringe a dimenticare”.