Un’altra quisquilia intergalattica
Shen Dacheng, classe 1977, non parla di sé, e nemmeno della Cina. Pubblichiamo lo stralcio di un suo racconto (per gentile concessione di Atmosphere Libri)
Gli asteroidi cadono di pomeriggio è un libro rivoluzionario, disarmante, una raccolta di racconti condita con avveduta fantasia e soffice crudeltà. (…) Ha detto bene lo scrittore e critico Tang Nuo, il quale ha osservato che «nelle parole di Shen Dacheng la magia è onnipresente in modo quieto, calmo, come in Borges»; eppure non si può ignorare il crudele realismo che si cela dietro ogni sfaccettatura della vita umana. Le parole di Shen Dacheng, in fin dei conti, non sono altro che metafore kafkiane che ci permettono di comprendere meglio cosa siamo.
(Dalla postfazione di Valentina Consoli, traduttrice e curatrice del volume)
Quando avevano abbandonato il piccolo pianeta blu, dove l’umanità aveva vissuto per millenni, il mondo terrestre aveva perduto il suo splendore. «Addio terra mia, madrepatria, stella madre!» avevano detto salutandola man mano che scompariva. Considerato lo smarrimento che provoca lo spazio, è difficile stabilire cosa avessero provato in quel momento: non era chiaro se fossero stati gli umani a lasciare la Terra o lei ad abbandonarli. Sembravano due grosse mani intente a fare il gioco della matassa che si erano separate di netto quando una delle due aveva interrotto la partita. Si illudevano forse che ci sarebbe stata un’altra mossa e che avrebbero potuto ricongiungersi di nuovo?
Forse i passeggeri sostavano lì non solo per la nostalgia di casa; chissà, forse attendevano una sorta di miracolo. Vedendo l’afflizione di quella gente strappata alla propria terra natia, l’ufficiale al comando sospirò rassegnato. Diversamente dagli altri, lui non aveva avuto il tempo di guardarsi indietro: doveva pensare al presente e restare concentrato sul futuro in quanto nominato comandante D della flotta di emigrazione interstellare.
La flotta avrebbe impiegato circa venti mesi per arrivare sul nuovo pianeta. Quando la videro, i passeggeri rimasero sbalorditi dalle titaniche dimensioni dell’astronave, e ancor più dall’impressionante potenza con cui sfondarono l’atmosfera per entrare nello spazio. Appena un quarto d’ora dopo, però, immersi in quella vastità di stelle e pianeti, l’entusiasmo si esaurì e prese il sopravvento la consapevolezza di essere particelle insignificanti in quell’immenso universo, perciò da quel momento non avevano osato più guardare avanti bensì indietro, verso la Terra.
Il comandante, i passeggeri e i loro effetti personali viaggiavano su una gigantesca astronave al centro del convoglio. Su un lato era fiancheggiata da un cargo che trasportava i beni pubblici, le attrezzature e le risorse che l’umanità avrebbe condiviso in futuro, sull’altro da una corazzata armata che scortava la formazione. Insieme formavano la flotta di emigrazione intergalattica capitanata dal comandante D. Oltre a lui vi erano altri ufficiali sparsi nello spazio alla guida di diverse flotte dirette verso pianeti di altre galassie. Le destinazioni erano state stabilite anni prima dopo ponderate valutazioni, ed erano state inviate le squadre di costruzione che, una volta superati i pericoli per giungere a destinazione, avrebbero iniziato a edificare le infrastrutture, seppur vivendo alla cieca in attesa dell’arrivo degli altri. Per garantire la sopravvivenza dell’umanità, i terrestri, saggiamente, non avevano intrapreso quel viaggio tutti assieme, bensì si erano divisi in gruppi, aumentando così le possibilità di successo bilanciando i rischi.
Come si chiamavano quelli che un tempo lasciavano la propria patria per andare a conquistare terre straniere? Gli venne in mente mentre camminava. “Prodi uomini a cavallo” pensò il comandante.
Dopotutto, il presente e il passato non sono poi così diversi: le persone si spostano altrove quando un luogo esaurisce le sue risorse, ma la strada è più lunga se si va a cavallo piuttosto che in astronave. I cavalieri che un tempo andavano a impossessarsi di nuovi territori, però, erano veri uomini, audaci e forti; quelli che erano a bordo, invece, erano nomadi comuni, gente codarda, nostalgica e imbambolata. Figurarsi, guardavano ancora la Terra! Comunque fosse, non aveva altra scelta. Doveva accompagnarli verso il futuro attraversando infinite stelle.