Wang Anyi (non) è Elena Ferrante
Paragonare i personaggi della scrittrice cinese con quelli dell'italiana è indubbiamente spiazzante, ma offre interessanti spunti di riflessione
Il giorno 13 novembre, in una giornata piovosa definita da una classica “allerta meteo” che, altrettanto classicamente, si era rivelata meno pericolosa del previsto, la scrittrice Wang Anyi 王安忆 (1954−) è stata ospite del Palazzo Reale di Napoli, nelle sale della Fondazione Premio Napoli. L’incontro era parte di un tour, Wang Anyi’s visit to Italy - Chinese Writers’ Residency, nato dallo sforzo congiunto delle Università degli Studi di Napoli, L’Orientale, e Roma Tre, e l’Università Ca’ Foscari di Venezia. La tappa napoletana è stata organizzata dalla Fondazione e dal Dipartimento di Asia, Africa e Mediterraneo (DAAM) dell’Università degli Studi di Napoli, L’Orientale, e introdotta da Alfredo Guardiano, giudice della Corte di Cassazione e componente della giuria tecnica del Premio, e dalle prof.sse Chiara Ghidini e Valeria Varriano. Presente anche l’interprete, il prof. Agostino Sepe, che ringrazio per il confronto sull’esatta terminologia usata dalla scrittrice e qui riportata.
Wang Anyi era appena stata a Venezia, ospite in Ca’ Foscari per l’incontro Writers in conversation, e non era mai stata a Napoli. L’incontro aveva un titolo particolare, che presagiva una prospettiva rovesciata sull’autrice: Wang Qiyao nel rione di Lila e Lenù. Wang Qiyao è la protagonista de La canzone dell’eterno rimpianto (Changhenzhi ge长恨之歌, Einaudi 2011), il suo romanzo più famoso in Italia, dove, purtroppo sono state pubblicate solo tre opere della scrittrice. Ma quale sia il nesso tra la giovane Wang Qiyao, un “fiore” che appassisce nel corso del lungo XX secolo cinese, e le due amiche geniali, lo scopriamo gradualmente nel corso di questa conferenza che è una vera e propria rivelazione.
A partire da L’amica geniale (in cinese Wode tiancai nüyou我的天才女友), Wang Anyi ha parlato di letteratura, scrittura e personaggi in una maniera assolutamente unica e questa unicità è stata resa possibile da due fattori importanti. Il primo, imprescindibile, è l’opera di Elena Ferrante, questa quadrilogia, definita in cinese come una Nabulesi sibuqu 那不勒斯四部曲 (“Sinfonia napoletana in quattro movimenti”, nella traduzione di Sepe), che non è solo spunto o pretesto, è vera scintilla. L’opera ha infatti acceso un rapporto intimo non solo tra Wang Anyi e la città di Napoli, ma tra la Cina e la letteratura italiana.
Il secondo fattore importante è stato l’intuizione di mettere in discorso questo rapporto, portarlo in prima linea e non nasconderlo. Che L’amica geniale sia un’opera d’arte, un pezzo di letteratura contemporanea imprescindibile, è un grosso interrogativo al quale l’evento di un pomeriggio piovoso di novembre risponde, anche solo parzialmente. Ma non è il punto fondamentale che volevo affrontare, poiché, in ogni caso, Wang Anyi dà per scontato che di letteratura si tratti (e questo tanto dice sullo snobismo dell’intellighenzia italiana).
Il punto su cui mi soffermo con queste poche righe è come questa quadrilogia animata da una città precisa, con una Storia allo stesso tempo localissima e nazionale, con i suoi personaggi vividi e archetipici, abbia sedotto totalmente la scrittrice, nata a Nanchino e cresciuta a Shanghai, le cui pagine sono studiate da sinologhe e sinologi per comprendere una città precisa, una Storia localissima e nazionale, personaggi vividi ed esemplari.
Sulla questione dell’archetipo è importante perché menzionata proprio da Wang Anyi: la mia Wang Qiyao non ha niente a che vedere con Lila. Lila, che guizza tra le parole della scrittrice come argento vivo e divinità inafferrabile, è un personaggio eccezionale, fuori dal comune, mentre Wang Qiyao è comune. Per chiarire agli astanti quanto Lila sia un archetipo di donna forte, Wang Anyi ripercorre le due coordinate di spazio e tempo. Ci restituisce la meraviglia di essere a Napoli, dove ogni piccolo evento e scambio sono visti come “scene” de L’amica geniale perché la città è animata dai suoi eterni personaggi. E ci riporta a Pompei che, nei suoi occhi come nei nostri, è un mondo altro eppure ancora riconoscibile.
Lila, che guizza tra le parole della scrittrice come argento vivo e divinità inafferrabile, è un personaggio eccezionale, fuori dal comune, mentre Wang Qiyao è comune.
Mentre Lila, e anche Lenù (un po’ bistrattata dalla scrittrice, anche se ammette di esserle più simile), sono personaggi carichi di Storia, addirittura reincarnazioni di altre persone, probabilmente proprio dell’antica Pompei, Wang Qiyao è un personaggio giovane e moderno, privo di quelle stratificazioni. E qui ritornano le coordinate spaziali: i personaggi, per la scrittrice, sono i luoghi in cui nascono e che abitano. Questo, per chi ha dimestichezza con la storia della letteratura cinese, non è affatto nuovo ma porta a riflettere sul ponte che Wang, assieme agli organizzatori della conferenza, hanno creato tra Napoli e Shanghai.
Un ponte reso possibile dalla quadrilogia ma alimentato dalle persone, dalle loro passioni e curiosità. Elena Ferrante è diretta interlocutrice, per Wang Anyi, quanto a questioni fondamentali quali la necessità di tornare a parlare di realtà (xianshi 现实) anche nella fiction (xugou 虚构), rifiutando quelle tensioni “metafisiche” (xingershang 形而上) che hanno allontanato il romanzo dal suo significato popolare. Allo stesso tempo, sottolinea l’importanza della fiction per conferire alla scrittura un carattere poetico (shiyi 诗意).
Se la letteratura è, tra le altre cose, un dialogo aperto tra esseri umani e realtà, essa è dunque intrinsecamente transnazionale e global, ma non perché ponga le stesse domande (aspettandosi le stesse risposte) ovunque venga letta, piuttosto perché permette quel flusso interno ed esterno al corpo, personale e condiviso, che fa l’essere umano. Che lo forma, lo manda avanti, che ne nutre lo sviluppo e ne rende possibile la sopravvivenza. E dunque in un mondo che distrugge e nega corrispondenze, risulta eccezionale la presenza vivida di una scrittrice cinese in un pomeriggio piovoso di Napoli, che si specchia nel lavoro di un’autrice differente, distante eppure assolutamente e chiaramente comprensibile, dalla quale si è sentita interpellata e alla quale ha risposto.