I limiti del partenariato senza limiti
Il gasdotto, la guerra. E la consapevolezza che ognuno persegue i propri interessi
C’è un elefante nella stanza che ospita l’incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e quello cinese Xi Jinping: il Power of Siberia 2, cioè il gasdotto che dovrebbe connettere Russia e Cina via Mongolia. Per costruirlo ci vogliono circa sei anni e, se completato, porterà alle regioni settentrionali della Repubblica popolare 50 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno, più o meno l’equivalente della fornitura che, prima dell’invasione russa dell’Ucraina, veniva assorbita dall’Europa. Mosca ne ha estremo bisogno, ma Pechino nicchia.
Sui media di stato cinesi non se ne fa parola, e gli esperti sottolineano che forse la Repubblica popolare lo necessita meno di quanto si creda. Colloqui sul tema sarebbero già avvenuti lo scorso ottobre, quando i due leader si sono incontrati al margine delle celebrazioni per i dieci anni della Belt and Road Initiative, quella che in Italia ci ostiniamo a chiamare nuova via della seta, ma Putin ne sarebbe uscito con un pugno di mosche. Si dice (ma non c’è nessuna dichiarazione ufficiale in proposito) che il presidente in persona abbia chiesto un prezzo stracciato sulla fornitura di gas e che comunque Pechino voglia garanzie sul non doverne sopportare i rischi o i costi. L’amministrazione cinese avrebbe anche chiesto una modifica al progetto affinché il gasdotto passi per la regione autonoma dello Xinjiang, anziché dalla Mongolia. Ma anche qui non abbiamo conferme. Sta di fatto che se ne sarà parlato anche oggi, senza arrivare a nessun accordo.
L’arrivo a Pechino di Valdimir Putin, che si è recentemente assicurato il quinto mandato alla presidenza del suo Paese, è stato anticipato da una lunga intervista all’agenzia di stampa cinese Xinhua. Essendo un media di stato c’è, ovviamente, tutto ciò che Xi Jinping si voleva sentir dire. Ma è utile per capire il tono, servizievole e smaliziato, con cui il “vecchio amico” si presenta, salutato con tutti gli onori riservati ai grandi capi di stato, in piazza Tian’anmen. Putin descrive Xi come un leader “capace di una comunicazione rispettosa, amichevole, aperta e, allo stesso tempo, pragmatica” e descrive così il loro, personalissimo, rapporto: “ogni nostro incontro non è solo una chiacchierata tra vecchi amici, cosa comunque importante, ma un fruttuoso scambio di vedute sugli argomenti più attuali dell’agenda bilaterale e internazionale”.
La loro vicinanza politica si fa spazio tra le righe più formali quando commenta il fatto che nel 2023 gli scambi commerciali tra i due paesi hanno superato i 200 miliardi di dollari e specifica che “dato che il 90 per cento delle transazioni avviene in valuta locale, sarebbe meglio parlare di 20mila miliardi di rubli, o mille e seicento miliardi di yuan”. E infatti sottolinea che “le élite occidentali guidate dagli Stati Uniti si rifiutano di rispettare le differenze culturali e di civilizzazione respingendo valori tradizionali secolari”, aggiungendo che “per cercare di mantenere la loro posizione dominante nel mondo (…) hanno negato alle altre nazioni il diritto di scegliere i loro propri modelli di sviluppo”. Ci tiene anche a definirsi un esperto delle arti marziali cinesi, e aggiunge che alcuni dei suoi famigliari stanno studiando il mandarino.
Elogia poi “il desiderio genuino” di Pechino di “aiutare a stabilizzare la situazione” in Ucraina, concetto che ribadirà nell’incontro con la stampa che ha seguito il colloquio tra i due durato, è bene notare, due ore e mezza anziché i previsti 45 minuti. Il padrone di casa, dal canto suo, ha specificato pubblicamente che “non è stato facile arrivare all’attuale relazione tra Russia e Cina” (per un’idea del complicato sviluppo dei rapporti tra le due nazioni negli ultimi 75 anni è ottima l’infografica del SCMP) e che per mantenerla tale “bisogna che entrambe le parti continuino a nutrirla e a prendersene cura”. Come a dire: fai in modo che mi convenga perché sono pronto a tirarmene fuori in qualsiasi momento.
Quasi tutti gli analisti sono convinti che la Repubblica popolare preferirebbe che la guerra in Ucraina volgesse rapidamente al termine, ma che nel frattempo beneficia di una Russia sempre più dipendente dal punto di vista economico e diplomatico. D’altronde la Cina di Xi Jinping ha ridisegnato l’ordine mondiale usando commercio e investimenti come leva diplomatica: non è un caso che è ormai il primo partner commerciale di oltre 120 paesi (tra cui Corea del Nord, Russia, Iran e Venezuela), la maggior parte dei quali apertamente contrari agli equilibri geopolitici nati alla fine della seconda guerra mondiale su impulso (e interesse) degli Stati Uniti d’America. Il “mondo multipolare” che Xi e Putin invocano apertamente, infatti, è soprattutto un mondo in cui il potere degli Stati Uniti viene arginato e diluito. Se è vero che i legami economici tra Cina e Russia sono ricominciati a crescere già nel 2014, a seguito dell’annessione russa della Crimea e delle conseguenti sanzioni occidentali, e che dall’invasione del febbraio 2022 hanno avuto una pesante accelerazione, bisogna ricordare che ci sono altri paesi che stanno aiutando economicamente Mosca. Solo per fare alcuni esempi l’India compra il suo petrolio, gli Emirati Arabi ne agevolano le transizioni finanziarie e Kazakhstan, Bielorussia e Turchia permettono che le merci importate facciano tappa nel loro paese aggirando così eventuali divieti e sanzioni.
I due paesi si trovano in perfetta comunione d’intenti soprattutto nella volontà di contrastare le sanzioni statunitensi. Per chi ha l’abitudine di cercare di comprendere il punto di vista cinese, infatti, le tariffe su settori strategici come pannelli solari, auto elettriche e semiconduttori varate dall’amministrazione Biden proprio il giorno prima dell’incontro tra Putin e Xi non fanno altro che esacerbare la guerra commerciale iniziata da Donal Trump e rendono pressoché inevitabile l’avvicinamento della Cina alla Russia. Non c’è dubbio che le due delegazioni riunite abbiano lavorato anche per trovare un meccanismo che permetta di aggirare le limitazioni al commercio made in Usa e che, auspicabilmente, possa essere condiviso anche da altri paesi. Ma anche qui, nel lungo termine, gli interessi divergeranno. Se Mosca è pronta a far saltare il tavolo perché ha poco o niente da perdere, Pechino è costretta alla cautela: non ha ancora rinunciato alla conquista dei mercati europei e statunitensi, e gode di un più ampio consenso tra le nazioni del cosiddetto Sud globale. Il suo riavvicinamento alla Russia potrebbe essere solo uno strumento temporaneo per navigare nel caos attuale in attesa di formalizzare la sua ascesa.