Il problema dei tre corpi (e di due culture)
Un tentativo di mediazione culturale tra l'opera originale e l'adattamento di Netflix
È un prodotto culturale complesso, quello della trilogia Memoria del passato della terra di cui Il problema dei tre corpi è solo il primo volume. Pubblicato tra il 2006 e il 2010, ha inizialmente avuto successo soprattutto nei circoli accademici che non solo ne prendevano in considerazione le dettagliate spiegazioni tecniche e scientifiche, ma ne discutevano animatamente.
La trama
In un presente non troppo diverso da quello che stiamo vivendo, cominciano a suicidarsi diversi scienziati.
Piano piano si scopre che la Terra tra quattrocento anni sarà invasa da una civiltà aliena, scientificamente molto più avanzata della nostra. I santi, così vengono chiamati gli abitanti del lontano pianeta che subisce le orbite di tre soli (e dove quindi le leggi della fisica a cui siamo abituati non valgono), sono in fuga da un’universo che, come i cicli storici a cui ci ha abituati la storiografia cinese, alterna periodi di stabilità a periodi di grande caos, a seguito dei quali sono costretti a ricominciare da capo perché i risultati raggiunti vengono pressoché azzerati. A mettersi in contatto con loro è una scienziata cinese che, avendo vissuto una tragedia famigliare quarant’anni prima, durante la Rivoluzione culturale, crede che l’unica speranza rimasta all’umanità sia quella di essere conquistata da un’intelligenza superiore. Nel 2006 l’ascesa della Repubblica popolare sembrava inarrestabile, internet aveva fatto entrare una ventata d’aria nuova oltre la grande muraglia e le maglie della censura culturale venivano lasciate abbastanza larghe. Per i lettori cinesi, la cui storia moderna inizia con il secolo delle grandi umiliazioni inflitte dall’occidente proprio grazie alla sua superiorità tecnologica, era facile trovare analogie tra la civiltà dei santi e quella statunitense. La lotta per la salvezza dell’umanità che gli scienziati intraprendono nel romanzo, diventava quindi l’aspirazione ad avere una meritata rivincita contro un’avversario con cui accorciava velocemente le distanze. Il tempo necessario alla flotta dei santi per raggiungere la terra, era allegoricamente quello che serviva alla Cina per colmare il gap tecnologico con gli Stati Uniti e, eventualmente, superarli.
La popolarità
La vera popolarità dei Tre corpi, arriva paradossalmente con la sua traduzione in inglese nel 2014. L’opera viene elogiata dall’allora presidente degli Stati Uniti Barak Obama e dal fondatore di Facebook Mark Zuckenberg e, l’anno successivo, diventa il primo romanzo cinese a vincere il prestigioso premio per la fantascienza Hugo. Da allora la saga ha venduto quasi nove milioni di copie in tutto il mondo, con un discreto ritorno anche in patria dove i diritti per qualsiasi adattamento vengono acquisiti dall’imprenditore Lin Qi per la sua Yoozoo Games. La trilogia viene trasposta sul grande schermo e viene venduta a Tencent che ne ricava una serie tv in trenta episodi molto fedele al libro. In una svolta che sa di fiction più che di realtà, il 25 dicembre 2020, tre mesi dopo aver venduto i diritti a Netflix, il 39enne Lin Qi muore avvelenato. Il suo omicida è Xu Yao, avvocato assunto dallo stesso Lin nel 2017 ma subito demansionato perché non in grado di portare a casa i risultati promessi. Secondo la ricostruzione dell’importante magazine economico Caixin, Xu, grande cultore della serie tv Breaking Bad, avrebbe costruito un vero e proprio laboratorio dove sperimentare varie misture di veleni. Oltre al suo capo, altri quattro ex colleghi sarebbero stati vittima dei suoi avvelenamenti, per fortuna con esiti non letali. Con un tempismo che non può passare inosservato, Xu è stato dichiarato colpevole e condannato a morte lo scorso 22 marzo, il giorno successivo alla prima mondiale su Netflix. Il gigante dello streaming americano è ufficialmente censurato in Cina, ma in sole 48 ore sui social cinesi l’hashtag #santi è stato commentato quasi due miliardi e mezzo di volte.
Le reazioni sui social cinesi
“Hanno cucinato un’intero vassoio di ravioli solo per condirli con l’aceto”. Sui social cinesi, è questa la frase più usata per commentare l’adattamento Netflix del romanzo di fantascienza di Liu Cixin. Il senso è che la produzione da 160 milioni di dollari sia stata messa in piedi solo per mettere la Repubblica popolare in cattiva luce. L’internazionalizzazione dei personaggi (nell’originale praticamente tutti etnicamente cinesi) e lo spostamento di gran parte dell’azione tra Oxford e Londra invece che a Pechino, infatti, non fanno che esacerbare il vittimismo cinese: l’occidente non riesce ad accettare che la nostra civiltà sia in grado di produrre scienziati di tale levatura, né che la Cina possa aspirare a battere gli alieni attraverso il suo processo scientifico. Prova ne sarebbe che l’unico personaggio cinese nell’adattamento è Ye Wenjie, la scienziata che nel (non troppo) lontano 1967, in piena Rivoluzione culturale, perde ogni fiducia nell’umanità tanto da invitare gli alieni a conquistarla. Ed è qui viene la seconda, più importante, critica. Nella versione originale di Liu Cixin, l’episodio in cui la giovane Wenjie assiste alla brutale esecuzione pubblica del padre, insegnante di fisica colpevole di non voler abiurare ai principi scientifici degli occidentali imperialisti di fronte alle masse, da parte dei suoi coetanei Guardie Rosse esiste ed è cronologicamente la miccia scatenante dell’intera trama ma, invece che aprire il romanzo, viene seppellito nelle sue pagine centrali. Secondo il suo traduttore sinoamericano Ken Liu, l’autore avrebbe entusiasticamente accettato il cambio di struttura affermando che era anche la sua idea originaria, ma poi si era lasciato convincere dall’editore a non titillare la curiosità della censura.
L’autore e il suo traduttore
Ken Liu, come Liu Cixin, è un ingegnere informatico e uno scrittore di fantascienza. I due per altro condividono un’altra esperienza. Sono cresciuti con i nonni, lontanissimi dai propri genitori, con alcuni libri a fargli compagnia. Liu Cixin è nato nel 1963, nella regione mineraria dello Shanxi. Aveva tre anni quando è scoppiata la rivoluzione culturale. Suo padre fu considerato un nemico di classe perché suo fratello era entrato nelle schiere dei nazionalisti all’epoca della guerra civile. Quando la situazione divenne troppo complicata e pericolosa, il giovane Liu fu spedito nelle campagne delle piane dello Henan dai nonni. Sotto al suo letto, nascosti in un scatola, le traduzioni di alcuni classici occidentali in caratteri non semplificati che gli faranno compagnia. L’autore ne cita sempre uno: Viaggio al centro della terra di Jules Verne. “Le descrizioni erano così meticolose che pensavo descrivesse qualcosa di reale”, dichiarerà anni dopo in un’intervista. Ken Liu è più giovane di tredici anni. Nasce nel 1976 a Langzhou, il capoluogo del Gansu, regione che storicamente ha sempre fatto da cerniera tra la la grande e disciplinata civiltà agricola, e la caotiche vicende delle tribù di nomadi che per secoli hanno condizionato gli scambi tra Europa e Asia. Quando ha quattro anni, i genitori vanno a studiare all’estero e lo lasciano dai nonni, entrambi professori di scienza. Legge quello che trova a casa, e usa la fantascienza americana per immaginarsi il mondo dove vivono i suoi genitori. Quando li raggiunge ha undici anni, e non sa nemmeno una parola d’inglese. Ma recupererà in fretta.
L’importanza della Rivoluzione culturale
Rispetto ad altri momenti tragici della storia cinese, la Rivoluzione culturale è stata rappresentata con una certa libertà in libri, film e saggi storici, ma sui suoi eventi specifici non è mai stata aperta un'inchiesta. Per buona parte della classe dirigente che ha guidato la Repubblica popolare dopo la morte di Mao Zedong si tratta del punto più basso raggiunto dal Partito comunista cinese. La paura che qualcosa del genere possa accadere di nuovo, è stata la motivazione più convincente con cui Deng Xiaoping ha convinto le figure apicali del Partito a schierare i carri armati contro gli studenti che occupavano piazza Tian’anmen nel giugno del 1989 e, con ogni probabilità anche se non c’è nessuna conferma ufficiale, quella con cui Xi Jinping ha convinto i grandi vecchi ad eliminare il suo più valido rivale per la guida del partito nel 2012. L’attuale presidente, classe 1953, si è formato politicamente proprio in quegli anni. Suo padre, storico sodale di Mao Zedong dai tempi della Lunga marcia, fu bollato come contro rivoluzionario, sua madre fu costretta ad accusarlo pubblicamente e i tormenti di sua sorella furono tali da portarla al suicidio. Xi, invece di ribellarsi, si dedicò con sempre più convinzione al Partito. «Chi ha fatto poca esperienza del potere, tende a guardare queste cose come se fossero un mistero o un romanzo», ha ricordato lo stesso Xi in un'intervista del 2000. «Ma io ho guardato oltre la superficie, oltre il potere, i fiori, la gloria e gli applausi. Ho visto le case trasformate in carcere e l'inconsistenza delle relazioni umane. Ho capito la politica, a un livello più profondo». Solo a Pechino, in quaranta giorni tra l'agosto e il settembre del 1966, furono uccise mille e ottocento persone. Nel decennio che seguì le università furono chiuse e, si stima, circa un milione e mezzo di cinesi persero la vita in maniera violenta.
I tre corpi oggi
Nel frattempo la Repubblica popolare è diventata la seconda economia mondiale e la guida del paese è passata all’attuale presidente Xi Jinping che negli anni ha fatto piazza pulita dei suoi avversari politici e ha accentrato sempre più poteri tanto che il confronto tra xi-ismo e maoismo è ormai inevitabile anche per chi gli riconosce ogni merito. Lentamente le maglie della censura sono state ristrette (già nel 2013, ad esempio, vengono vietati i viaggi nel tempo nelle serie tv), così come le libertà civili e d’impresa. Contestualmente il controllo dello stato si è fatto sempre più digitale e pervasivo, e i progressi tecnici sempre più fantascientifici. La Repubblica popolare ha ormai oltre seicento satelliti che orbitano attorno alla terra, un gigantesco radiotelescopio scandaglia l’universo alla ricerca, tra le altre cose, di forme di vita intelligenti e i notevoli progressi sull’intelligenza artificiale guidati esclusivamente dagli interessi di uno stato totalitario che più di altri ha osato sperimentare ambiziosi modelli di ingegneria sociale sulla propria popolazione (un esempio su tutti: la politica per il controllo delle nascite), aprono interrogativi etici di difficile risoluzione. Con questo nuovo background, a chi oggi si approccia per la prima volta alla trilogia del Passato della terra viene naturale associare il mondo alieno dei santi a quello costruito dal Partito comunista cinese. Un ribaltamento di prospettiva che vent’anni fa era inimmaginabile.
Un autore controverso
Di sicuro non sappiamo cosa pensi di quest’ultima lettura Liu Cixin che pare abbia comunque approvato anche l’adattamento Netflix della sua storia nella convinzione che l’intrattenimento statunitense abbia la necessità di “distinguere chiaramente il nero dal bianco”. In un lunghissimo ritratto-intervista del Newyorker, lo scrittore di fantascienza appare una mente complessa perlomeno quanto la sua opera. Se da una parte giustifica il terribile pragmatismo verticistico che per millenni ha permesso alle classi dirigenti cinesi di governare un impero estremamente popoloso (dice che la politica sul controllo delle nascite ha ridotto la povertà, che i campi di rieducazione per i musulmani dello Xinjiang prevengono i loro attacchi terroristici, che l’assenza di democrazia non è qualcosa che preoccupa i cittadini cinesi, che noi occidentali non possiamo capire e via dicendo…), dall’altra mentre osserva il Memoriale dei veterani del Vietnam si sofferma sul lunghissimo elenco di nomi dei caduti cede alla fascinazione dell’importanza che la cultura moderna occidentale accorda all’individuo e si chiede perché la Cina non possa rendere onore ai propri morti allo stesso modo. “Abbiamo le statue dei martiri certo, ma non commemoriamo mai i singoli individui. Siamo sempre stati fatti così: quando un evento si esaurisce, lasciamo che lo scorrere del tempo seppellisca le sue storie”. In fondo, anche nel suo romanzo, l’unica vera arma che rimane all’umanità per combattere l’onniscienza dei santi, è il pensiero che si sviluppa in ogni singola mente umana. A patto però, ed è forse qui il suo nichilismo politico, che non venga espresso o condiviso in alcun modo.