Ci sono tre cose che provocano un tormento gentile, mentre si legge Una Breve Elegia (add editore, 2023). Tre, come i racconti che compongono questo libro illustrato di Animo Chen, artista taiwanese che nelle scorse settimane ha attraversato diverse città italiane per presentare il suo ultimo, strabiliante lavoro.
La prima è la solitudine, ed è quello che si avverte incontrando i personaggi dell’Elegia. Condizione che non è dato scegliere, e che – ironia – accompagna, con o senza il consenso della nostra consapevolezza, lungo il breve tempo che è la vita. «Ma – dice Animo Chen durante un nostro incontro in una libreria di Bologna – la solitudine non è necessariamente una cosa negativa». Non sorprende, per chi nelle pagine dell’Elegia si è perso, sentire l’autore parlare del tema in questi termini. C’è, al fondo e alla fine di questa solitudine che pervade il libro (l’esistenza?), una serenità elegante, una tranquillità trascendente, ma quotidiana e inevitabile, che pare rimettere in ordine i subbugli, dentro e fuori dal sé. Solitudine come dato del reale, presente ma discreto, come i colori e gli abbinamenti cromatici utilizzati da Animo Chen: «Nella mia scelta – dice l’autore – non ho fatto altro che replicare quanto vedo attorno a me».
La seconda si chiama separazione. Ma potrebbe chiamarsi perdita, o in mille altri modi. È il fuoco che, nel suo ardere lento, consuma i racconti dell’Elegia, ne investe i protagonisti, ne pervade gli ambienti. È la forza che – nella sua costante manifestazione – prosciuga le vite dei personaggi che popolano il libro. Ma, di tutto questo, rappresenta anche l’opposto. La separazione spinge al movimento i protagonisti dei racconti, ne sommuove le storie, li guarisce dalla cancrena dell’immobilismo. E c’è, infatti, un senso di movimento costante nella narrazione e tra i personaggi, che sembrano, sempre, sospinti alla ricerca di qualcosa. Che non è importante definire, e a cui non serve dare un nome. C’è quindi, nella separazione che Animo Chen raffigura, un principio di riscatto, di guarigione dal dolore.
La morte, infine. Anch’essa dimensione propria dell’esistenza. Nelle sue infinite declinazioni – la fine, pacifica o violenta, della vita di una persona amata o di un passante su una bicicletta; il lutto per la perdita di un figlio, ancora piccolo; il dolore per la fine di un rapporto importante, che può solo essere d’amore – la morte appare come la vera fonte di interesse di Animo Chen, il baricentro ontologico della sua Elegia. Almeno fino a quando la lettura non giunge al termine, e si riannodano finalmente i fili della riflessione. A comprendere che solitudine, separazione e morte accompagnano ma non esauriscono una storia più complessa, che per convenzione chiameremo vita.
Chiedo ad Animo quanto ci sia di autobiografico in questo lavoro (non sarebbe un’elegia se no. No?). Sorride lasciando intendere che la risposta sarebbe troppo lunga e complessa. Non sorprende. Alla fine di ogni racconto, al termine del libro, si è raggiunti da una tranquillità discreta, ma non piatta. Là dentro, mi immagino, troveremo ognuno un senso diverso. Di questo libro e di quanto, delle nostre biografie, ci sia dentro.
P.S. Ho annotato le dichiarazioni di Animo Chen qualche giorno dopo il nostro incontro. Potrebbero quindi ricalcare le sue parole in modo non perfettamente fedele. Il loro senso non è in nessun caso stato modificato, né stravolto.