Long 🐉 - Il fascino dei paesi in transizione
Metropoli d'Asia nasce nel 2007 grazie alla curiosità per i ceti medi emergenti del suo fondatore Andrea Berrini. Su 37 titoli pubblicati, dieci sono traduzioni dal cinese
Metropoli d’Asia ha chiuso i battenti nel 2019, quando la narrativa contemporanea asiatica “aveva ormai sfondato”, rendendo superfluo, come ci racconta il fondatore Andrea Berrini, il suo lavoro di scouting. Scrittore e saggista incuriosito dal mondo asiatico, Berrini si era posto l’obiettivo di portare a un vasto pubblico le voci di autori contemporanei dell’ex terzo mondo, soprattutto quelle capaci di raccontare il ceto medio e le aree urbane in modo innovativo. L’esperienza di Metropoli d’Asia, avviata nel 2007 grazie a una breve partnership con Giunti Editore, si è conclusa ormai da cinque anni. Perché includerla in una rubrica dedicata alle immagini di Cina che il mondo editoriale italiano proietta in Italia nell’era Xi Jinping? Nonostante le piccole dimensioni del progetto e la sua interruzione, Metropoli d’Asia ha documentato trasformazioni politiche ed economiche in una fase di transizione, e mentre raccontava una Cina “sbalordita e sbalestrata” dalla possibilità di arricchirsi, ha toccato da vicino le intricate dinamiche editoriali che proviamo ad analizzare. Dalle parole del fondatore si evince infatti che, oggi come ieri, in molti casi sono centrali tanto i costi (sia quelli di traduzione che quelli di invito degli autori), quanto la dimensione ideologica che li sostiene (spesso attraverso contributi di traduzione), in virtù di una supremazia culturale (dell’una o dell’altra “parte”).
Qual è il percorso che ha portato un’opera cinese sugli scaffali delle librerie italiane con il vostro logo? Puoi raccontare l’esempio di un’opera da voi pubblicata di cui andate particolarmente fieri?
Il punto di partenza erano le relazioni dirette con gli scrittori, le chiacchiere, l’ascolto dei loro giudizi sulla narrativa del paese. A Hong Kong fu un poeta locale, Zheng Danyi, a segnalarmi il promettente A Yi. A sua volta Zheng mi era stato presentato da una redattrice di Cha (webzine di letteratura asiatica che fa base ad Hong Kong) che avevo incontrato in un caffè. Avevo scritto ad A Yi, e lo avevo incontrato a Pechino, naturalmente con una interprete: non parlo cinese, ne’ malese o indonesiano, coreano o hindi o bengalese. Per questo Hong Kong mi era sembrata l’introduzione naturale alla Cina, perché si parla inglese. Con A Yi ho inaugurato allora una relazione di amicizia, anche durante una sua lunga malattia. Abbiamo pubblicato la sua novella E adesso? e il romanzo Svegliami alle nove domattina, di cui ho seguito la gestazione.
Come e quando è nato il vostro progetto editoriale, e con quale obiettivo? La Cina è parte integrante del vostro progetto da sempre o avete pubblicato solo qualche titolo?
Il progetto nasce dalla mia curiosità per lo sviluppo, a quei tempi ancora recente, dell’Asia dell’est e del sud-est, diciamo dall’India in la’. L’ex terzo mondo che in certi suoi aspetti - le grandi città - cominciava a diventare come il primo. Per decenni io ho avuto attorno un mondo centrato attorno all’Occidente. Le nostre ex colonie erano neocolonie, per così dire. C’era una supremazia euroamericana - e non diversa era la supremazia russa su tutti i paesi nell’orbita sovietica - indiscussa, che non era solo economica e militare ma anche culturale. Li chiamavamo paesi in via di sviluppo.
Lo sviluppo economico ha trasformato le condizioni di vita nella maggior parte dei paesi asiatici. Come si rappresenta il loro nuovo ceto medio? Che visione del mondo ha?
Lo sviluppo economico della maggior parte dei paesi asiatici ha trasformato le condizioni di vita delle persone, con lo sviluppo di un ceto medio che conduce esistenze simili a quelle del ceto medio occidentale. La mia curiosità era: che letteratura produce questo ceto medio? Come si rappresenta e che visione del mondo ha? È la prima volta che abbiamo, noi bianchi, l’occasione di confrontarci con un “altro” che non lo è solo perché più povero di noi, ma che sta alla nostra altezza: sguardi differenti sul mondo, ma paralleli.
Perché tradurre e pubblicare libri che parlano di Cina nell’Italia di oggi? Perché dedicare attenzione e risorse al mondo cinese?
Ho cominciato con una partnership con Giunti Editore, che aveva la speranza di entrare in contatto con un pubblico generalista. Ma così non fu e divorziammo dopo solo un anno. Nei successivi undici anni di vita della casa editrice credo di aver intercettato lettori interessati al progetto, curiosi della nuova letteratura contemporanea di quelle aree. Non solo specialisti però, ma lettori comuni. Mi sono spesso domandato quanto i sinoitaliani leggano i nostri libri, per esempio Le tre porte di Han Han che resta il nostro più stabile long seller, ma non ho una risposta.
Mi sono spesso domandato quanto i sinoitaliani leggano i nostri libri ma non ho una risposta
Nel 2019 ho chiuso perché il mio progetto di scouting era diventato obsoleto: ogni autore asiatico aveva ormai un agente internazionale che lo proponeva alle grandi fiere, Francoforte e Londra su tutte. Diciamo che la narrativa contemporanea asiatica aveva ormai sfondato: il che è positivo no? L’Asia è sotto i nostri occhi. Per lo stesso motivo le istituzioni deputate alla sovvenzione di traduzioni e pubblicazioni estere hanno cessato la loro attività. Anche se credo in Cina ancora funzionino, e sopratutto in Corea del Sud, che infatti va alla grande.
Quando pubblicavate un titolo cinese, che attese di vendita avevate? Qual è l’opera di narrativa in traduzione che ha riscosso maggior successo di critica e/o di vendite? Quale il principale “insuccesso”, e come ve lo siete spiegato?
La promozione con cui lavoriamo tendeva a distribuire meno di cinquecento copie come dato di partenza. Se le traduzioni non fossero state sovvenzionate non sarebbe stato impossibile rientrare nei costi. Avevo saputo dell’esistenza di una istituzione deputata alle sovvenzioni, la China Translation House. Più avanti io sistema è cambiato, e la casa editrice da cui compravi i diritti poteva veicolare il contributo di traduzione. Credo che il sistema sia ancora in funzione. Le vendite lievitavano quando l’autore era invitato in Italia e messo sotto il naso del pubblico, come fu per i primi libri di A Yi e Zhu Wen. Un caso a parte è Le Tre Porte di Han Han, che ha venduto nel corso di quindici anni diverse migliaia di copie. Un bestseller che probabilmente è noto tra un pubblico di sinoitaliani.
Si sente spesso parlare di una “guerra fredda” Cina-Usa, in particolare in relazione a una contrapposizione discorsiva che tende a inglobare anche il mondo culturale europeo. Quanto le tensioni ideologiche influiscono sulle scelte editoriali? Quanto hanno influito sulle vostre?
Beh, nei fatti quella che cerchiamo è una narrativa completamente postcoloniale, anzi rappresentativa di un nuovo assetto multipolare del mondo. Pluralità.
Quanto ha pesato la difficoltà di invitare gli autori (costi, passaporto, censura...) nella decisione di pubblicare o non pubblicare un libro? Quanto il fatto che siano benvisti o malvisti in patria? Potete farci un esempio?
Pesa il costo. E allora è chiaro che si rischia di dipendere dalle scelte delle istituzioni locali deputate al finanziamento dei viaggi degli scrittori. Per quanto riguarda la Cina in verità non abbiamo sperimentato episodi di censura, A Yi e Zhu Wen furono invitati senza problemi. E perfino i due romanzi di Han Han ricevettero contributi di traduzione, ma sto parlando di anni lontani, prima del 2012, anno che segnò l'inizio dell'irrigidimento. Però quando Yan Lianke mi propose il suo I quattro libri, censurato in Cina e pubblicato a Taiwan, dissi di no (in Italia è stato pubblicato da Nottetempo, ndr): impossibile sostenere i costi di una traduzione di quattrocento pagine e oltre.
Come selezionavate i traduttori e quanto intervenivate sulle loro scelte “ideologiche”? Come valutereste la decisione di non tradurre il carattere 龙 con espressioni quali “drago” o “dragone”, e di preservare invece il pinyin inserendo una nota a piè di pagina?
Sulla base di conoscenze, e ovviamente della loro disponibilità. Non abbiamo mai riscontrato problematiche ideologiche ma tenga conto che, appunto, l'ultima traduzione è di sei anni fa.
Avete notato se il pubblico italiano reagisce in maniera differente rispetto al pubblico di altri paesi? Se sì, quali sono le differenze più significative? Per esempio, un best seller cinese tradotto in Germania che in Italia non vende o viceversa...
Difficile dirlo. A sensazione, e sempre relativamente ai nostri anni, dal 2007 al 2019, i paesi scandinavi erano più 'accoglienti', e comunque l'Italia era più indietro rispetto ai grandi paesi coloniali.
Cosa rappresenta per voi la Cina, e in che modo questa idea si riflette nell’immagine che provate a raccontare al pubblico italiano?
Non posso dirlo con precisione perché sono lontano dalla Cina da molti anni. Certo il mio Zhu Wen nei suoi racconti intorno al 2000 raccontava una Cina sbalordita e sbalestrata dal cambiamento, dall’ arricchirvi è glorioso’ di Deng Xiaoping. Come lui Han Han. Oggi la diffusione della fantascienza dimostra uno sguardo più cosciente di sé e delle sfide del presente. Sostanzialmente mi pare un salto generazionale, di quelli grossi.
Long 🐉 vi da appuntamento il prossimo 10 ottobre con un’intervista a Fiori Picco per Fiori d’Asia editrice