Long 🐉 - Leggere la Cina nell'anno del drago
Una rubrica sugli editori italiani che scelgono e diffondono i testi cinesi
A dodici anni dall’insediamento di Xi Jinping, il drago politico per eccellenza, proviamo a leggere la pluralità di immagini che in questo ciclo dello zodiaco cinese la Repubblica popolare ha proiettato, più o meno consapevolmente, in Italia. Il nostro sforzo sarà quello di decostruirle, soffermandoci sui processi che le hanno portate fino a noi, al fine di mettere in evidenza i complessi meccanismi ideologici ed economici che hanno reso questo scambio possibile.
L’idea nasce all’interno di un Progetto di ricerca di Rilevante Interesse Nazionale (PRIN) portato avanti dall’Università Ca’ Foscari di Venezia insieme all’Università Orientale di Napoli e coordinato dalla professoressa Nicoletta Pesaro. Cercheremo di dare voce e spazio agli attori del panorama editoriale italiano che più hanno contribuito a selezionare e tradurre storie cinesi, dando forma alle immagini di Cina arrivate nelle librerie italiane in questi ultimi dodici anni.
龙年读龙 (long nian du long), quindi. Letteralmente significa “leggere il drago nell’anno del drago”, ma lo interpretiamo in questo contesto come “leggere la Cina nell’anno del drago”. Ed eccoci al punto.
Si tratterà di una rubrica mensile che inizia con l’anno del Drago Verde di Legno dedicata al dragone per antonomasia, la Cina, e alle sue caleidoscopiche rappresentazioni. Per questo è stata intitolata Long 🐉 , volutamente presentato nella sua traslitterazione pinyin piuttosto che con traducenti più intuitivi come “drago”, “drago cinese” o “dragone”. E per questo la inauguriamo con una riflessione su uno dei simboli più ricorrenti (e abusati) del Regno di Mezzo.
Buona lettura (e buon anno)!
Fuor di metafora, cosa significa “long”? In Cina l’espressione rimanda a un essere gigantesco, sinuoso e potente, il cosiddetto “drago cinese” che, racconta Mark Cartwright, nelle sue rappresentazioni più ricorrenti è spesso circondato da tuoni e fulmini. Questo animale mitologico volante e mutevole, che si nasconde tra le nuvole o vicino ai corsi d’acqua, nel corso del tempo ha assunto configurazioni diverse: simile in alcuni casi a un serpente con le ali, è rappresentato, in altre occorrenze, con un corpo di serpente, occhi di coniglio, una pancia di rana e corna di cervo. Perlopiù caratterizzato da una spiccata intelligenza e dalla capacità di cambiare dimensione, forma, e di rendersi invisibile, spesso è descritto come una creatura giusta e positiva che appare molto distante, quindi, dal mostro malvagio e sputafuoco che popola le fiabe nostrane, la creatura che in occidente prende il nome di “drago”.
Per capire meglio l’importanza di decodificare il flusso di immagini relative alla Cina che giungono in Italia, ovvero la natura delle molteplici idee di “drago” in circolazione, è opportuno contestualizzarle, ricordando che, come anticipato, sono passati dodici anni dall’investitura di Xi Jinping come segretario generale della Repubblica popolare cinese (Rpc). Dodici anni e tre mandati di una propaganda che ha enfatizzato, internamente, il perseguimento di un “sogno cinese” (zhongguo meng) e di una “rinascita” (fuxing) idealmente votati a costruire una società moderatamente prospera (xiaokang) e priva di corruzione. Dodici anni di crescita economica rallentata con cui Xi, suo malgrado, ha dovuto fare i conti: se per la società civile negli ultimi decenni la parola chiave è stata “arricchirsi” (zhifu), l’odierno senso di impotenza provato di fronte alla competizione selvaggia e allo sfruttamento sfrenato ha portato soprattutto i giovani a interrogarsi, nell’ultimo periodo, sul significato del termine “involuzione” (neijuan). Dodici anni di ritorno a un forte nazionalismo, consolidato non solo con tecnologie tentacolari e pervasive, ma anche tramite un recupero strategico della mitologia e della tradizione. Dodici anni di crescenti malumori con gli Usa, cristallizzati in un conflitto ideologico che si combatte anche sul piano culturale. Per esempio, attraverso le scelte relative a cosa tradurre, e a come farlo.
Dodici anni di ritorno a un forte nazionalismo, consolidato con tecnologie tentacolari e pervasive e tramite un recupero strategico della mitologia e della tradizione
Non a caso ci occupiamo, in questa rubrica, delle immagini di Cina proiettate all’estero attraverso opere letterarie in traduzione che, come segnala Paolo Magagnin in un importante contributo dedicato all’argomento, sul suolo nazionale sono presenti in numero ancora limitato. Proprio la letteratura, un mezzo espressivo inteso da Xi come strumento per “raccontare bene le storie cinesi” (jianghao zhongguo gushi) al fine di plasmare l’immagine di Cina nel mondo, ha rappresentato per l’Italia una finestra per leggere e avvicinare la RPC anche e soprattutto dal 2020 in poi, quando è stato più difficile raggiungerla fisicamente. Oltre a coincidere, nell’immaginario italiano, con la figura di Xi e con la millenaria cultura del Regno di Mezzo, la polimorfa figura del “drago cinese” e le sue variegate rappresentazioni ci aiutano a identificare, in questo spazio, altrettante immagini di Cina, proiettate tramite la carta stampata o il digitale, tradotte “addomesticando” il testo o preservando i suoi elementi stranianti, ereditate dal passato o fabbricate ex novo per la politica del futuro. Queste immagini fluide, che si mescolano e cambiano anche grazie ai prodotti culturali a cui siamo sottoposti, sono il risultato del lavoro sinergico di attori italiani e cinesi che si muovono in una rete culturale eterogenea.
La letteratura per Xi Jinping è uno strumento per “raccontare bene le storie cinesi” al fine di plasmare l’immagine di Cina nel mondo
Pensando agli agenti riconducibili alla Repubblica popolare, vengono in mente, tra gli altri, organi istituzionali di promozione culturale, università, scrittori, case editrici e agenti letterari più e meno indipendenti a cui lo Stato chiede, in generale, di coltivare una letteratura nazionale “con caratteristiche cinesi” (zhonguo tese), anche attraverso la promozione di traduzioni che, “avvicinando [la Cina] al mondo” (zouxiang shijie), consentono di esibire i suoi successi culturali all’estero. Ciò si traduce, in alcuni casi, in ciò che Emily Jin, traduttrice e dottoranda a Yale, definisce un “orientalismo bilaterale” che porta ad accentuare, sia in Cina che all’estero, la “cinesità” di testi riconducibili, per esempio, alla letteratura fantascientifica: se gli agenti cinesi se ne servono per promuoverli fuori dai confini nazionali, quelli stranieri la sfruttano per commercializzarli in patria. Al pari di un generico drago stilizzato, questa idea di Cina semplificata, utile a promuovere una versione facilmente esportabile di cultura, rischia al contempo di ridurre quella stessa cultura a una serie di immagini stereotipate.
L’“orientalismo bilaterale” porta ad accentuare, sia in Cina che all’estero, la “cinesità” dei testi
Un’idea di “cinesità” più o meno orientalista che sempre più spesso viene convogliata tramite i generi letterari e la loro traduzione. Come ha sottolineato Nicoletta Pesaro in un recente intervento svolto in occasione di un ciclo di seminari dedicati al discorso pubblico sulla Cina, la traduzione gioca infatti un ruolo cruciale nel trasferire all’estero immagini di questo Paese che sono sempre più spesso convogliate dalla narrativa di genere. E proprio generi come la fantascienza, il fantasy e la letteratura per bambini incarnano, come ha messo in luce il seminario, la volontà di incoraggiare una produzione narrativa nazionale che si concentri sui contenuti, anziché sulla forma.
La traduzione gioca un ruolo cruciale nel trasferire all’estero immagini di questo Paese
Non stupisce, dunque, che la letteratura fantascientifica in traduzione abbia contribuito a plasmare l’immagine di Cina che è andata formandosi negli ultimi anni, né che il binomio Rpc-fantascienza sia oggi piuttosto diffuso in Italia – si pensi, ad esempio, a Red Mirror e all’interessante scorcio sulla Cina di oggi offerto da Simone Pieranni, che nel suo saggio gioca sul parallelismo tra il presente cinese e Black Mirror, celebre e distopica serie tv prodotta da Netflix. Questo genere, che negli ultimi anni ha riscosso un notevole successo in patria e all’estero, nella sua forma scritta e cinematografica riesce a offrire un’immagine futuristica e accattivante, seppur a tratti distopica, della Rpc; un’immagine che, considerando gli ingenti investimenti cinesi in ambito scientifico-tecnologico, sempre più spesso è funzionale alla rappresentazione (e autorappresentazione) del Regno di Mezzo all’estero. Tuttavia, il flusso di queste immagini, eterogenee e in molti casi critiche, è stato e continua a essere possibile grazie a iniziative individuali che sfuggono, in molti casi, ai radar della propaganda. Anche per questo ci serviamo della fantascienza, abbondantemente tradotta in italiano soprattutto dopo l’ottenimento, nel 2015, del prestigioso premio Hugo da parte di Liu Cixin, per introdurre il ruolo svolto dagli editori italiani e stranieri – intesi qui come esempi di un’agentività editoriale che opera fuori dai confini nazionali cinesi – nel dare forma a queste rappresentazioni.
Torniamo quindi al concetto di “drago cinese”, che non di rado appare nella narrativa sci-fi prodotta in Cina, e offre spunti utili per affrontare il ruolo svolto dalla traduzione nel dare forma a concetti, parole e immagini, frammenti di Cina risultanti da quella che, come ricorda la traduttrice e scrittrice Franca Cavagnoli, è una doppia negoziazione: una interna, operata dal singolo traduttore sulla base del lettore modello (il fruitore immaginario del testo) e della dominante testuale (la componente intorno al quale ruota la coerenza dell’opera) che si è dato, e un’altra esterna, risultante dal dialogo tra traduttore ed editore.
Della correlazione esistente tra le scelte traduttive adottate e le idee di Rpc che anche grazie a queste vengono trasmesse ai lettori, ha parlato in modo efficace la già citata Jin che, trovatasi a dover tradurre proprio il carattere 龙 in un racconto sci-fi, ha optato per una strategia traduttiva estraniante. Come ha spiegato in un interessante articolo, dedicato al valore ideologico e decoloniale della traduzione (e della sua scelta), se la strategia addomesticante, “immagina[ndo] un lettore un po’ pigro” si sforza di fare aderire il testo cinese alle norme linguistiche e culturali della cultura di arrivo, rischiando di produrre pericolose forme di appropriazione culturale, la strategia straniante, maggiormente ancorata al testo di partenza, preserva le peculiarità linguistiche e culturali del testo originale, permettendo al lettore di accorgersi, ad esempio, che il “nostro” long, o “drago cinese”, non ha molto in comune con Smaug, il gigantesco drago rosso appartenente all’universo tolkeniano.
Il “nostro” long, o “drago cinese”, non ha molto in comune con Smaug, il gigantesco drago rosso appartenente all’universo tolkeniano
Cosa tradurre, dunque, e come tradurre? Una delle risposte possibili arriva da un panel dedicato a editoria e decolonizzazione tenutosi durante la Worldcon (convention mondiale di fantascienza), ospitata lo scorso anno sul suolo cinese per la prima volta nella storia. In questa sede, una manciata di rappresentanti di case editrici indipendenti, riconducibili alla narrativa sci-fi e provenienti dal Nord e dal Sud globale (ricordiamo tra questi Francesco Verso e la casa editrice italiana Future Fiction), hanno descritto ai lettori cinesi lo stato dell’editoria fantascientifica in traduzione nei rispettivi paesi, provando a promuovere l’idea di un futuro editoriale capace di intercettare le molteplici voci fantascientifiche presenti nel mondo, ovvero la “biodiversità del futuro”. Nel promuovere una simile prospettiva, hanno inoltre mosso critiche al mondo editoriale anglofono, che si limiterebbe a riproporre, si è detto nel panel, un’idea di futuro egemonica e obsoleta in cui, come in un buco bianco, tutto (ciò che è scritto in lingua inglese) esce, ma nulla (di ciò che è prodotto in altre lingue) entra, fatta eccezione per specifiche “quote” di diversità.
Nel tentativo di neutralizzare l'egemonia anglocentrica sulla scena letteraria globale si può guardare alla Cina come a un esempio che incarna la biodiversità del futuro
Simili prospettive portano a interrogarsi sulla consapevolezza dell’editoria italiana di fronte alle sfide ideologiche ed economiche del presente, sfide che, se guardiamo alle due principali potenze economiche globali, solo in apparenza propongono modelli e soluzioni antitetiche. Se decolonizzare, per Francesco Verso, significa neutralizzare l'egemonia anglocentrica della scena letteraria globale traducendo opere provenienti dal Nord e Sud globale, e guardare alla Cina come a un esempio che incarna la biodiversità del futuro, per Jin questo sforzo coincide anche con il contrastare, attraverso pratiche traduttive decoloniali, diverse forme di orientalismo legate alla “cinesità” del testo. Può essere opportuno, in questo senso, soffermarsi sui rischi legati non solo alla “colonizzazione” editoriale portata avanti da parte del mondo anglofono nello scenario editoriale italiano, ma anche sulle pratiche editoriali perseguite dalla Rpc all’estero. Come leggerle, decodificarle, e agire in modo consapevole?
Sulla narrazione dei molteplici draghi possibili e sulle corrispondenti visioni di Cina proviamo a interrogarci in questa rubrica, che raccoglie estratti di interviste effettuate agli esponenti del mondo editoriale italiano nell’ambito del progetto PRIN dal titolo “Chinese narratives and the narration of China in Italy: literature, cinema and art at the intersection of cultural diplomacy and cultural industry”. Osservando da vicino il processo editoriale che le ha portate in Italia, permettendoci di viaggiare in Cina con l’immaginazione, anche in periodi in cui non è stato possibile farlo di persona. Cerchiamo di osservare, nell’anno del Drago Verde di Legno, come queste proiezioni sono andate creandosi, nel complicato trasferimento di significati da una cultura a un’altra, grazie alla sinergia di attori italiani e cinesi che hanno avuto l’onere e l’onore di selezionarle per i lettori. Ci concentriamo in particolare sul processo di selezione, traduzione e diffusione di queste immagini da parte di editori che, pubblicando narrativa cinese negli ultimi dodici anni, queste immagini hanno contribuito a plasmarle e a farle circolare.
Long 🐉 vi da appuntamento il prossimo 10 marzo con un’intervista ad Ilaria Benini, curatrice ed editor della collana Asia per Add editore