Long 🐉 - Più titoli, meno cliché
La collana Asia di Add è nata nel 2015. Ha pubblicato 38 libri di cui più di un terzo sono su o dalla Cina (continentale e non). Intervista alla curatrice Ilaria Benini
Indipendente, coraggiosa, con lo sguardo rivolto a Oriente. Così potremmo descrivere in breve la collana Asia di Add editore, che negli ultimi anni ha tradotto narrativa, saggistica e fumetti, regalando ai lettori italiani una prospettiva fresca e inedita sulla Cina, volta a “smantellare cliché e pregiudizi”. Un percorso che nasce in Myanmar con Ilaria Benini, curatrice ed editor di questa collana, che non a caso, come racconta lei stessa, ha deciso di includere il primo scorcio di Cina offerto dalla casa editrice proprio in un volume dedicato al Myanmar, Dove la Cina incontra l’India, dello storico birmano Thant Myint-U. Iniziamo proprio da Ilaria Benini la prima tappa del nostro percorso dedicato all’editoria che racconta e “traduce” la Cina per il pubblico italiano.
Ilaria, parlaci di Add. Qual è il percorso che porta un’opera cinese sugli scaffali delle librerie italiane con il vostro logo? Puoi raccontare l’esempio di un’opera da voi pubblicata di cui andate particolarmente fieri?
Nel caso della nostra collana Asia non esiste un percorso tipico, direi che ogni opera cinese che abbiamo pubblicato è arrivata tra le nostre mani percorrendo una sua strada, e questo aspetto è indubbiamente legato alle caratteristiche specifiche del mondo letterario cinese, ma anche al nostro approccio, che da sempre valorizza uno scouting il più possibile sul campo e non convenzionale. Personalmente ho avuto la fortuna di vivere alcuni anni in Asia e di viaggiare molto nel continente, costruendo una vasta rete di contatti grazie alla quale scoprire titoli da tradurre. Mi piacerebbe raccontarvi la storia dietro ogni singolo titolo, ma visto che chiedete un esempio in particolare ci tengo a parlare di Splendidi reietti di Seven, tradotto da Martina Caschera (a cui si deve anche il fortunato titolo). È un fumetto underground nel senso più letterale del termine, introvabile nella stessa Cina perché uscito pressoché in clandestinità in pochissime copie e circolato invece molto di più in versione digitale online. Racconta le vicissitudini di Tian Fushi, giovane insonne e disilluso, alla ricerca di amore e significato in un mondo pervaso da sesso, alcol e deliri nichilisti. La componente queer della storia lo rende un titolo nel mirino della censura statale e per questo motivo l’autore scrive sotto pseudonimo. L’abbiamo scovato grazie al contatto con un fumettista cinese, che è suo agente e amico.
Ogni opera cinese che abbiamo pubblicato è arrivata tra le nostre mani percorrendo una sua strada
Cito anche Pechino Pieghevole di Hao Jingfang, il primo romanzo di fantascienza che abbiamo pubblicato e l’inizio di un percorso editoriale dedicato alla letteratura di genere che ci sta dando molta soddisfazione. In questo caso il merito è di Silvia Pozzi, professoressa di lingua cinese all’Università degli Studi di Milano Bicocca e incredibile traduttrice. Quando si instaura un rapporto di fiducia professionale e personale con traduttrici e traduttori possono generarsi vere e proprie trovate editoriali, e questo è particolarmente vero nel caso di lingue poco tradotte nel nostro Paese e poco “trafficate” dagli agenti letterari.
Come e quando è nato il vostro progetto editoriale, e che obiettivo vi siete posti? La Cina è parte integrante del vostro progetto da sempre o avete pubblicato solo qualche titolo?
La collana Asia è nata nel 2015 da un’idea che ho maturato mentre vivevo in Myanmar. Non a caso, inizialmente abbiamo pubblicato diversi titoli dal Sudest asiatico, che era l’area dell’Asia che conoscevo meglio. L’obiettivo era di affiancarsi agli editori di saggistica che erano focalizzati in maniera esclusiva sull’Asia (ad esempio O barra O e Metropoli d’Asia) per rendere disponibili in italiano più libri che potessero smantellare cliché e pregiudizi su quell’area del mondo.
Volevamo rendere disponibili in italiano più libri che potessero smantellare cliché e pregiudizi su quell’area del mondo
Vista da là, dall’interno, l’Asia era rilevante e conteneva tantissime voci da ascoltare, ma osservata dall’Italia era spesso rappresentata come meta di turismo esotizzante (“Sono stata in Thailandia/India/paeseasiatico-a-caso ed è stata una vera lezione di vita: più si è poveri più si è felici!”) o oggetto di critica banalizzante (“In Corea sono barbari, mangiano i cani!”, “Ah cinesi, giapponesi, chi li riconosce? Tutti uguali, sono popoli di automi” portando a dimostrazione la mancanza di democrazia in Cina o l’esistenza della cultura Otaku in Giappone). Nel tempo ci siamo allargati a tutto il continente e abbiamo iniziato a pubblicare anche narrativa. La Cina è parte integrante per forza di cose, perché è come un magnete nell’area. Per la prima volta è comparsa nel titolo di un libro dedicato al Myanmar. Dove la Cina incontra l’India, dello storico birmano Thant Myint-U.
Perché tradurre e pubblicare libri che parlano di Cina nell’Italia di oggi? Perché dedicare attenzione e risorse al mondo cinese?
La prima motivazione è ovvia e molto viscerale, di base ci piace il senso di nuovo e di diverso che arriva dalla narrativa cinese. Nella stessa sfida traduttologica risiede un universo eccitante e pieno di stimoli. Bisogna porsi così tante domande per tradurre dal cinese all’italiano che è come vivere un’avventura e un viaggio interiore, perché è necessario capire noi stessi e la nostra lingua per determinare il significato di ciò che è stato scritto in cinese. E tutto quell’insieme di significati e sonorità che non potranno mai essere tradotti univocamente rende l’esperienza di pubblicare letteratura cinese un viaggio particolarmente avventuroso, si sceglie una delle tante strade possibili, sapendo che si lasciano alternative da seguire che avrebbero manifestato ciascuna una diversa e specifica interpretazione del mondo. È come un multiverso di significati, sfugge il senso del reale, è estremamente affascinante. Ma oltre a questa ragione romantica, si tratta di una scelta editoriale motivata dalla crescente importanza e influenza della Cina nel contesto globale.
Ci piace il senso di nuovo e di diverso che arriva dalla narrativa cinese
In un passato non troppo lontano, l'interesse per la Cina poteva essere considerato di nicchia, ma negli ultimi tempi, l'attenzione nei confronti di questo paese si è notevolmente intensificata. È diventata un attore chiave e molto influente a livello mondiale, a partire dal progetto della Nuova via della Seta, alla gestione della pandemia di Covid-19, le proteste di Hong Kong e la situazione critica di Taiwan. Questi eventi hanno contribuito a rendere la Cina una presenza imprescindibile nel nostro mondo contemporaneo. Ciò riflette una consapevolezza sempre più diffusa che, in un'epoca di interconnessione globale, siamo tutti sullo stesso pianeta e che l'influenza cinese è sempre più pervasiva. Nonostante possa persistere un senso di superiorità da parte europea rispetto alla Cina, è innegabile che stia emergendo una sincera curiosità nei confronti di questa nazione. La comprensione della cultura, della storia e della società cinese diventa fondamentale per affrontare le sfide e cogliere le opportunità che derivano da questa interazione globale. Tradurre e pubblicare libri cinesi consente di promuovere una comprensione più approfondita e costruire possibili connessioni tra persone con differenti background e tradizioni.
Quando pubblicate un titolo cinese che attese di vendita avete? Qual è l’opera di narrativa in traduzione che ha riscosso maggior successo di critica e/o di vendite? Quale il principale “insuccesso”, e come ve lo siete spiegato?
In generale vendere duemila copie di un libro in traduzione per noi, come per ogni editore indipendente, è sempre un buon risultato e ce lo poniamo come obiettivo. Ad esempio con Membrana di Chi Ta-wei (tradotto dal cinese, ma di Taiwan) abbiamo raggiunto queste vendite in circa un anno. Altre volte fortunatamente va anche meglio. Ad esempio Pechino pieghevole ha venduto finora tremila copie e Una vita cinese quattromila (considerando solo il primo volume). Splendidi reietti ha venduto molto meno, ma non lo consideriamo un insuccesso perché è in linea con il mercato dei fumetti di questo genere. Sarebbe stato un miracolo se avesse venduto di più!
Si sente spesso parlare di una “guerra fredda” Cina-Usa, in particolare in relazione a una contrapposizione discorsiva che tende a inglobare anche il mondo culturale europeo. Quanto le tensioni ideologiche influiscono sulle scelte editoriali? Quanto hanno influito sulle vostre?
È una riflessione costante che faccio. Nelle scelte editoriali sto cercando di bilanciare la proposta con alcuni titoli che rappresentano statement molto espliciti riguardo agli aspetti della Repubblica popolare cinese che considero critici, come la drammatica situazione di pulizia e sostituzione etnica in atto nello Xinjiang ai danni del popolo uiguro. Per documentare questo dramma abbiamo deciso di pubblicare Sopravvissuta a un gulag cinese di Gulbahar Haitiwaji, un memoir durissimo. Sempre per queste ragioni abbiamo pubblicato ben due libri sull’inghiottimento violento di Hong Kong nel regime cinese, L’eclissi di Hong Kong di Ilaria Maria Sala e La città indelebile di Louisa Lim. A breve uscirà invece Tradire il grande fratello di Leta Hong Fincher, un saggio sulle “cinque femministe” e sul movimento contro il patriarcato in Cina. Sono libri necessari, e vanno assolutamente accompagnati da letteratura di qualità proveniente dalla Repubblica popolare che sia testimonianza di un fermento culturale incredibile e della presenza di autori di altissimo livello.
Quanto pesa la difficoltà di invitare gli autori (costi, passaporto, censura...) nella decisione di pubblicare o non pubblicare un libro? Quanto il fatto che siano benvisti o malvisti in patria? Potete farci un esempio?
È una difficoltà reale che in parte limita la pubblicazione di titoli, a vantaggio di autori taiwanesi o coreani, con cui è molto più facile organizzare tour, anche grazie all’enorme sostegno pubblico e privato che riceviamo. Non c’è paragone a livello di collaborazione e supporto agli autori. D’altronde anche l’Italia non supporta i suoi autori all’estero, per cui finora siamo riusciti a invitare soltanto Li Kunwu, grazie al fatto che essendo estremamente affermato in Francia ha un ottimo visto per entrare nell’area Shengen e quindi abbiamo potuto soprassedere a questo fatto. Ora stiamo tentando da più di un anno di far venire Han Song, speriamo il 2024 sia l’anno buono!
Come selezionate i traduttori e quanto intervenite sulle loro scelte “ideologiche”? Come valutereste la decisione di non tradurre il carattere 龙 con espressioni quali “drago” o “dragone”, e di preservare invece il pinyin inserendo una nota a piè di pagina?
Come con tutte le lingue da cui traduciamo, individuiamo le traduttrici e i traduttori a partire da altri testi che hanno tradotto, da rapporti pregressi che abbiamo con le università, o tramite proposte che riceviamo. C’è il passaggio obbligato della prova di traduzione, per capire non solo l’abilità traduttologica, ma anche che ci sia un’affinità lavorativa, visto che il lavoro di revisione e editing dal cinese è spesso molto impegnativo a livello mentale e di tempo. È fondamentale trovarsi bene anche umanamente perché ci sarà tanto tempo da “passare” insieme.
Spesso non esiste il traducente esatto: qualcosa andrà perso, qualcosa si aggiungerà
Abbiamo un approccio dialogico, per cui non ci facciamo alcun problema a intervenire sulla traduzione, ma sempre con commenti visibili, in maniera da poterne discutere apertamente. In base alle motivazioni e al confronto a volte è la stessa traduttrice/traduttore a voler cambiare la propria traduzione, altre volte facciamo un passo indietro e accettiamo la scelta fatta. Personalmente mi affascinerebbe leggere un libro in cui invece di tradurre si usasse il pinyin, ma penso saremmo una manciata di persone senza una formazione da sinologi ad apprezzare una scelta del genere. Noi pubblichiamo libri in italiano per un pubblico italiano, l’abilità traduttologica è di trovare il traducente giusto e avere il coraggio di accettare che spesso non esiste il termine esatto e qualcosa andrà perso, qualcosa si aggiungerà. È quello il senso del tradurre.
Avete notato se il pubblico italiano reagisce in maniera differente rispetto al pubblico di altri paesi? Se sì, quali sono le differenze più significative? Per esempio, un best seller cinese tradotto in Germania che in Italia non vende o viceversa...
Nel nostro caso raramente pubblichiamo best seller per cui non so rispondere a questa domanda! Magari le nicchie hanno dimensioni diverse in paesi diversi, ma non ho nessun dato eclatante da commentare.
Cosa rappresenta per voi la Cina, e in che modo questa idea si riflette nell’immagine che provate a raccontare al pubblico italiano?
La Cina rappresenta un patrimonio culturale immenso, complesso e stratificato, in cui vivono grandi artisti (pensando a tutte le arti, non solo alla letteratura). Per via della sua storia antichissima, la sua geografia, la sua popolosità e la storia politica dell’ultimo paio di secoli è per forza di cose un Paese pieno di contraddizioni, che è molto difficile osservare e interpretare a causa della barriera linguistica. Spero che il mix di saggi critici e romanzi che pubblichiamo dia almeno un’impressione di questa grande ricchezza.
Long 🐉 vi da appuntamento il prossimo 10 aprile con un’intervista a Francesco Verso, curatore e fondatore della casa editrice Future Fiction.
"Vista da là, dall’interno, l’Asia era rilevante e conteneva tantissime voci da ascoltare, ma osservata dall’Italia era spesso rappresentata come meta di turismo esotizzante (“Sono stata in Thailandia/India/paeseasiatico-a-caso ed è stata una vera lezione di vita: più si è poveri più si è felici!”) o oggetto di critica banalizzante (“In Corea sono barbari, mangiano i cani!”, “Ah cinesi, giapponesi, chi li riconosce? Tutti uguali, sono popoli di automi” portando a dimostrazione la mancanza di democrazia in Cina o l’esistenza della cultura Otaku in Giappone)."
-> io vi amo.
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