Mia nonna
Can Xue, classe 1953, è una nota esponente della narrativa sperimentale cinese. Pubblichiamo lo stralcio di un suo racconto (per gentile concessione di Utopia editore)
Nel 1957 mio padre, considerato il capo della cricca antipartito del quotidiano Nuovo Hunan, fu accusato di essere «un elemento di estrema destra» e trasferito all’istituto magistrale per rieducarsi attraverso il lavoro manuale. Mia madre venne mandata a riformarsi in un campo di lavoro a Hengshan.
Nel 1959 tutta la nostra famiglia, composta di nove persone, venne fatta traslocare dagli appartamenti per gli impiegati del giornale in una casetta di due stanze di circa dieci metri quadrati alle pendici del monte Yueyu.
Vivevamo con meno di dieci yuan a testa. Per di più era un periodo di calamità naturali e, poiché mio padre non aveva soldi da parte né il benché minimo aiuto esterno, la famiglia lottava per sopravvivere...
«Zaizai! Zaizai!», la nonna mi chiamava usando il mio nomignolo. Nell’oscurità sentivo i suoi passi che si avvicinavano, agitava un pezzo di corteccia d’abete infuocata e tossiva forte per farmi coraggio.
«Pensa a qualcosa di rosso, di brillante, di luminoso», diceva bussando con un dito alla porta di legno. Le cavallette e i coleotteri dalle lunghe corna stavano cantando, e anche i grilli. Il canto dei grilli è nero, non mi piace; quello delle cavallette e dei coleotteri dalle lunghe corna invece è luminoso. Anche il verso del gufo è nero. L’estate è luminosa, è la stagione che amo di più; l’inverno invece è buio e odora di naftalina.
La nostra famiglia non poteva permettersi di usare il carbone, e mia nonna portava me e due miei fratellini in montagna a far legna. Il sole era così cocente che sotto i suoi raggi la foresta scricchiolava. I lepidotteri dei pini ci cadevano spesso addosso. Ogni volta che sul nostro corpo compariva un gonfiore rosso, la nonna ci sputava subito sopra, lo strofinava con la saliva e poi diceva: «Ora è a posto».
Poi sorrideva furbesca. Ma il gonfiore non smetteva per questo di bruciarci. Una volta riempite le ceste di legna, la nonna ci faceva sedere a riposare. Si asciugava la fronte imperlata di sudore, socchiudeva i vecchi occhi per osservare il sole e poi si metteva di nuovo a raccontare la solita vecchia storia: «Nella nostra famiglia c’era uno zio che ricevette una maglia dalle mani di un monaco: teneva caldo d’inverno e fresco d’estate». «Se avessi mille yuan comprerei subito una maglia così». Sognavo a occhi aperti. «Quel genere di maglie non è in vendita, le hanno solo i maestri spirituali».
Da giovane mia nonna doveva essere stata una bella donna dai lineamenti delicati. Aveva denti bianchissimi e fortissimi, capaci di spezzare un sottile filo di ferro. Era un tipo estremamente risoluto, eppure attorno a lei aleggiava un’atmosfera di mistero. Capitava che si risvegliasse di soprassalto nel sonno e si mettesse in ascolto, piegata in avanti, di un rumore di cui non si capiva la provenienza, e che agitasse un bastone facendo sibilare l’aria. Una volta le chiesi perché facesse così, ma lei negò decisamente strizzando l’occhio.
Conosceva tutti i tipi di verdure selvatiche e di funghi che crescevano in montagna. Ogni giorno preparava un dolce nerastro con le foglie di canapa che raccoglievamo. «Masticate bene», ci esortava, «più masticate più diventa dolce, la saliva contiene zucchero». Provai. Era vero.
Aveva dato ai funghi nomi bellissimi. «Fungo panino al vapore ripieno», «fungo montagna fredda», «fungo camicia rossa», «fungo principessa», e così via. Rimanemmo in vita grazie a quelle verdure selvatiche e a quei funghi mentre lei, che non mangiava e si affaticava di lavoro, morì di idropisia.
*Can Xue, pseudonimo di Deng Xiaohua, è nata a Changsha nel 1953. Dopo aver svolto diversi lavori, tra cui l’operaia, l’insegnante e la sarta, verso la metà degli anni ottanta ha iniziato a dedicarsi a tempo pieno alla scrittura. Riconosciuta dalla critica internazionale come un’esponente di spicco della letteratura sperimentale e tradotta in molte lingue, ha ottenuto riconoscimenti in tutto il mondo.
**Il volume Dialoghi in cielo da cui è tratto questo brano è uscito in Cina nel 1988. In Italia è stato tradotto da Maria Rita Masci