Long 🐉 - Una storia d'amore
Orentalia nasce nel 2010 dall'esperienza di una libreria specializzata. Su 66 volumi, 26 sono traduzioni dal cinese. Intervista alla cofondatrice Palmira Pregnolato
Dopo aver investigato la scena editoriale cinese dall’osservatorio privilegiato dei suoi scaffali romani, Orientalia, ex libreria e oggi casa editrice, ha fatto confluire le esperienze raccolte dall’omonima libreria a partire dal 2002, in un progetto editoriale che prova – così racconta Palmira Pregnolato, cofondatrice di Orientalia insieme ad Andrea Marcelloni – a restituire la complessità di un’area (l’Asia) e di un Paese (la Cina) di cui (e in cui) i due gestori si sono innamorati ai tempi dell’università. Nonostante i libri pubblicati, non inclusi nella grande distribuzione, abbiano difficoltà a trovare spazio nelle grandi catene di librerie, questa azienda culturale di piccole dimensioni si è fatta conoscere grazie alla creazione di contenuti di nicchia che, come si intuisce anche dal nome, guardano a oriente. L’unicità dell’offerta è riconducibile soprattutto a una fitta rete di collaborazioni con il mondo accademico, e a un processo di revisione ed editing che può contare sulle competenze degli stessi fondatori. Negli anni, anche grazie a finanziamenti internazionali che vengono rigorosamente esplicitati nei volumi, Orientalia ha accorciato le distanze che separano la Cina e l’Italia, pubblicando testi di letteratura, saggistica e manualistica accomunati da un approccio sperimentale e da scelte in controtendenza. Non a caso, il percorso narrativo di questa casa editrice è iniziato con il romanzo Rosa rosa amore mio: un pregevole esperimento curato da Anna Di Toro che, traducendo quest’opera taiwanese in italiano, l’ha adattata al contesto siciliano.
Qual è il percorso che porta un’opera cinese sugli scaffali delle librerie italiane con il vostro logo? Potere raccontare l’esempio di un’opera da voi pubblicata di cui andate particolarmente fieri?
Comincerei col dire che i nostri libri hanno difficoltà ad essere presenti sugli scaffali delle librerie, soprattutto delle catene di librerie della grande distribuzione dove non trovano spazio gli editori che, come noi, non ne fanno parte. Però ci potete trovare nelle librerie indipendenti e in tutti i bookstore online, inclusi quelli delle stesse librerie che non ci mostrano fisicamente sui loro scaffali… è un corto circuito, lo so, ma tant’è.
Il percorso varia a partire dal genere a cui appartiene il libro: per la narrativa ci avvaliamo del supporto di alcuni mediatori in Cina, a Taiwan e in Italia; per la manualistica e i saggi dipende, a volte siamo noi a commissionare, altre invece accogliamo proposte di autori o traduttori. Insomma, ogni libro ha la sua storia.
Prendiamo ad esempio 2088 di Alessandro Zhu. Nel 2019 insieme all’associazione delle seconde generazioni Associna, abbiamo lanciato un concorso letterario per sinodiscendenti che si è concluso con la pubblicazione di Cinarriamo, un piccolo libro con quattro racconti incentrati sulla questione identitaria dei nuovi italiani con origini cinesi. Ad Alessandro, che è stato uno dei vincitori del concorso, abbiamo chiesto se la sentiva di cimentarsi nella stesura di un romanzo, ed è così che è nato 2088, il primo romanzo di genere pubblicato da un sinoitaliano.
Anche Cena per sei di Lu Min ha seguito un percorso molto elaborato, non tanto per l’acquisizione dei diritti, quanto per la resa finale della traduzione, alla quale Natalia Riva e Silvia Pozzi, rispettivamente la traduttrice e la curatrice del libro, hanno dedicato moltissimo tempo. Il risultato è notevole.
Come e quando è nato il vostro progetto editoriale, e con quale obiettivo? La Cina è parte integrante del vostro progetto da sempre o avete pubblicato solo qualche titolo?
Orientalia, come si intuisce dal nome, è specializzata nella pubblicazione di saggistica e narrativa orientali, con un focus preponderante sulla Cina. È una storia d’amore, un progetto di vita nato tra gli anni Ottanta e Novanta in un’auletta poco luminosa della Sapienza di Roma, dove io e Andrea Marcelloni, oggi partner in affari e nella vita, studiavamo cinese col mitico professor Bertuccioli.
Reperire testi sulla Cina in quel periodo non era affatto semplice e la manualistica di supporto allo studio della lingua era pressoché inesistente, tanto che dopo un anno di borsa di studio trascorso in Cina – entrambi a Nanjing, era proprio destino! –, avevamo riportato con noi una quantità imbarazzante di libri e dizionari.
Orientalia è una storia d’amore, un progetto di vita nato tra gli anni Ottanta e Novanta in un’auletta poco luminosa della Sapienza di Roma
Nel 2002 abbiamo deciso di aprire Orientalia, una libreria specializzata in studi orientali che negli anni ha ospitato sui propri scaffali migliaia di titoli, italiani e importati dall’estero, dalla Cina in primis ma anche dal resto dell’Asia e del mondo occidentale. In una prima fase, la casa editrice, sebbene già presente nello statuto societario, è rimasta secondaria rispetto all’attività libraria. Soltanto dopo aver chiuso la libreria, un’esperienza fondante come individui prima ancora che come editori, siamo infine riusciti a far decollare il progetto editoriale, a cui ci dedichiamo a tempo pieno da cinque anni.
Attualmente Orientalia ha in catalogo otto collane, con titoli che spaziano dalla manualistica, alla saggistica, alla narrativa, all’arte, ecc…
Perché tradurre e pubblicare libri che parlano di Cina nell’Italia di oggi? Perché dedicare attenzione e risorse al mondo cinese?
Per noi la svolta editoriale è stata quasi un’esigenza. Scegliere la Cina come fulcro della nostra formazione ha sicuramente cambiato le nostre prospettive: sui banchi dell’università ci siamo disfatti dell’illusione dell’occidente come centro del mondo e meta attrattiva per ogni individuo, e abbiamo iniziato a guardare alla storia da una diversa angolazione. Da lettori appassionati quali eravamo, divoravamo tutto quello che trovavamo sulla Cina, studiavamo i classici e ci emozionavamo leggendo Mo Yan, Su Tong, Yu Hua. Ma il materiale a disposizione in italiano era limitato. In quell’osservatorio privilegiato che è stata la libreria Orientalia, poi, ci siamo resi conto ancor di più di quanto fosse carente la presenza della narrativa cinese sul mercato nazionale e, al contempo, abbiamo capito quanto l’immaginario italiano sulla Cina fosse ancora incredibilmente colonizzato da pregiudizi, spesso accompagnati da quella fastidiosa tendenza a minimizzare o banalizzare i traguardi socio-culturali di realtà distanti e in un certo senso opposte alla nostra.
Che ci piaccia o meno, quello che accade in Cina si ripercuote anche qui. Già questo dovrebbe essere sufficiente a spiegare le motivazioni che ci spingono ad interessarcene
L’esigenza di accorciare questa distanza traccia la linea editoriale di Orientalia, con la pubblicazione di nuovi strumenti di studio e di apprendimento della lingua e della cultura, un’ampia scelta di nuovi autori già affermati in madrepatria o la riproposta di opere andate fuori catalogo e che non erano più reperibili – penso ad esempio a Mogli e concubine di Su Tong nella traduzione di Maria Rita Masci, una pietra miliare nella letteratura cinese contemporanea.
Se poi vogliamo evitare di scomodare la retorica sull’importanza della conoscenza dell’altro, basti ricordare che stiamo parlando di un paese socialmente, economicamente e culturalmente tra i più importanti al mondo, la seconda potenza mondiale dopo gli Stati Uniti. E che ci piaccia o meno, quello che accade in Cina si ripercuote anche qui. Già così dovrebbe essere sufficiente a spiegare le motivazioni che ci spingono ad interessarcene.
Quando pubblicate un titolo cinese, che attese di vendita avete? Qual è l’opera di narrativa in traduzione che ha riscosso maggior successo di critica e/o di vendite? Quale il principale “insuccesso”, e come ve lo siete spiegato?
Diciamo che in un mercato di nicchia come il nostro, una tiratura annua di un migliaio di copie rappresenta un buon risultato. Normalmente i romanzi vendono più dei racconti, non si tratta di insuccessi ma di tendenze. E, malgrado tutto, continueremo a pubblicarne.
Si sente spesso parlare di una “guerra fredda” Cina-Usa, in particolare in relazione a una contrapposizione discorsiva che tende a inglobare anche il mondo culturale europeo. Quanto le tensioni ideologiche influiscono sulle scelte editoriali? Quanto hanno influito sulle vostre?
Sulle nostre non influiscono affatto, anzi tentiamo di mantenere distanti le questioni politiche dalla nostra linea editoriale. Confondere il governo di un popolo con la sua produzione culturale, è un errore in cui l’opinione pubblica cade troppo spesso. E accade quasi sempre quando si parla di Cina. Come se smettessimo di leggere Bulgakov perché non ci piace Putin. Qual è il senso?
Quanto pesa la difficoltà di invitare gli autori (costi, passaporto, censura...) nella decisione di pubblicare o non pubblicare un libro? Quanto il fatto che siano benvisti o malvisti in patria? Potete farci un esempio?
Non influisce nella pubblicazione, ma proprio per i costi elevati non è facile avere un autore o un’autrice in Italia. Quest’anno siamo riusciti ad invitare Lu Min che ha presentato Cena per sei al Salone del libro di Torino e ha tenuto tre conferenze (due a Milano, in Cattolica e alla Statale, e una alla Sapienza di Roma) grazie al supporto degli istituti Confucio presenti negli atenei. Nel 2021 invece a Più libri più liberi di Roma abbiamo presentato due libri di Feng Tang: Una ragazza per i miei diciotto anni e Palle imperiali. Feng Tang non fa parte dell’Associazione scrittori cinesi e si trova spesso in contraddizione con i suoi colleghi. Tuttavia gode di grande popolarità in Cina, ha un enorme seguito di lettori, e ha risposto al nostro invito decidendo di venire a sue spese.
Come selezionate i traduttori e quanto intervenite sulle loro scelte “ideologiche”? Come valutereste la decisione di non tradurre il carattere 龙 con espressioni quali “drago” o “dragone”, e di preservare invece il pinyin inserendo una nota a piè di pagina?
Abbiamo iniziato selezionando tra le nostre conoscenze. Il primo romanzo che abbiamo pubblicato è stato Rosa rosa amore mio di Wang Zhenhe, ed è stata un’esperienza formidabile oltre che altamente formativa. Per rendere giustizia alla lingua dell’autore, e restituire al lettore tutta la varietà di registri, le sfumature, l’ironia dell’originale, Anna Di Toro, la traduttrice e curatrice dell’opera, ha prima tradotto e poi riadattato interamente il libro al contesto siciliano, inserendo un minuzioso apparato di note finale in cui vengono spiegate punto per punto tutte le soluzioni traduttive. Dai toponimi alle canzoni, abbiamo preso decisioni rischiose e opinabili, ma il risultato è esattamente quello che volevamo. Il libro è stato un successo ed è spesso citato nei convegni in cui si parla di traduzione.
Dai toponimi alle canzoni, abbiamo preso decisioni rischiose e opinabili, ma il risultato è esattamente quello che volevamo
Il lavoro di revisione ed editing è un punto centrale della nostra attività editoriale, forse è per questo che attualmente collaboriamo con alcuni tra i più importanti traduttori e traduttrici italiani. I nostri interventi sono volti a trovare il giusto compromesso tra originale e resa finale. Con le parole culturali, capita spesso di inserire il pinyn seguito da un’estensione che ne spieghi il significato. Evitiamo però di usare il pinyin quando si tratta di inutili esotismi. Ogni scelta va contestualizzata.
Avete notato se il pubblico italiano reagisce in maniera differente rispetto al pubblico di altri paesi? Se sì, quali sono le differenze più significative? Per esempio, un best seller cinese tradotto in Germania che in Italia non vende o viceversa...
Alcuni nostri autori sono tradotti in più lingue, ma non ho dati sufficienti per rispondere alla domanda.
Cosa rappresenta per voi la Cina, e in che modo questa idea si riflette nell’immagine che provate a raccontare al pubblico italiano?
Malgrado siano quasi trent’anni che il mondo cinese accompagna le mie giornate, a volte mi sembra di avere appena iniziato a frugare nel baule. È la sua capacità di smentirmi e di sorprendermi che mi tiene incollata, la bellezza della sua lingua complicatissima, il suo popolo schietto e spontaneo, la sua storia, gli scenari futuri. Col nostro lavoro vorremmo restituire un po’ della complessità che muove questo immenso Paese, mostrarlo ai lettori attraverso gli occhi di chi lo vive e ne è protagonista, di chi può offrirne una lettura sociale lontana da stereotipi e pregiudizi.
Long 🐉 vi da appuntamento il prossimo 10 luglio con un’intervista a Francesco De Luca, per la casa editrice Delufa Press.